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con Valerio Galano

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Riflessioni e idee dal mondo del software

Episodio del podcast

La trappola della semplicità (riflessioni dal containerday 2023)

5 novembre 2023 Podcast Episodio 122 Stagione 2
La trappola della semplicità (riflessioni dal containerday 2023)

Descrizione

È facile dire che le cose vano fatte in modo semplice, ma cosa vuol dire esattamente? Io non ho la risposta ma almeno posso provare a pormi la domanda.

Attrezzatura utilizzata:
Shure Microfono Podcast USB MV7

Codice sconto agli eventi del GrUSP: community_PIC
https://www.grusp.org/

Fonti:
https://2023.containerday.it


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Crediti

Sound design - Alex Raccuglia
Voce intro - Maria Chiara Virgili
Voce intro - Spad
Musiche - Kubbi - Up In My Jam, Light-foot - Moldy Lotion, Creativity, Old time memories
Suoni - Zapsplat.com
Cover e trascrizione - Francesco Zubani

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Quello che segue è lo script originale dell'episodio.

Intro

Ormai lo sai bene, è inutile che mi ripeta in continuazione: conferenze e incontri sono un momento da me particolarmente apprezzato per il potere che hanno di stimolare la riflessione e la riflessione è anche il motivo per cui esiste questo podcast.

E da poco, ho partecipato al containerday, conferenza italiana organizzata dal GrUSP, di cui Pensieri in codice è partner, e quelle che stai per ascoltare sono le idee sulle quali questo evento mi ha dato da pensare.

Sigla.

Il concetto di container

Dal momento che il containerday è una conferenza totalmente incentrata sulla tecnologia di containerizzazione, mi sembra doveroso introdurre almeno a grandi linee il concetto di container per fugare eventuali dubbi.

In realtà, di questo argomento abbiamo già parlato nell’ormai lontano luglio 2020 nell’episodio su Docker, ma un piccolo ripasso non fa mai male.

Per conteiner, in ambito informatico ed in particolare in ambito devops, si intende un particolare meccanismo di virtualizzazione del sistema operativo nel quale eseguire un software.

Semplificando al massimo, diciamo che in generale un software, per funzionare, ha bisogno di un ambiente con determinate caratteristiche che spaziano dalla tipologia di sistema operativo, alla potenza di calcolo, alla quantità di memoria, alla possibilità di eseguire determinate operazioni, alla presenza di spcifici moduli e librerie da sfruttare, e via discorrendo.

Ora, questo ambiente può essere il normale sistema operativo di un computer o di un server, configurato a dovere, oppure un suo sottoinsieme, nel quale sono presenti solo le caratteristiche minime necessarie e che, genericamente, prende il nome di container o sistema operativo virtuale.

Oltre a fornire lo spazio di lavoro più efficiente possibile, il container isola anche il proprio contenuto dall’esterno, assicurando, in questo modo, che i software al proprio interno non possano sconfinare nel sistema operativo della macchina ospite se non espressamente autorizzati.

In una condizione del genere è chiaro che, da un lato il container deve includere tutto ciò che serve al proprio software per funzionare correttamente, tuttavia dall’altro può ignorare o mancare di tutto il resto.

L’utilizzo dei container ha una miriade di vantaggi, che non possiamo sicuramente sviscerare oggi, ma riassumendo all’osso, permette a chi deve occuparsi del software all’interno di preoccuparsi di un numero limitato di fattori e a chi deve occuparsi di ospitare il container di maneggiare una scatola nera che può avviare, duplicare, trasferire e in generale maneggiare con molta più semplicità.

Il containerday

Al containerday, vengono affrontati vari aspetti della containerizzazione del software: aspetti sistemistici per la corretta gestione dei container e aspetti programmatici per la corretta implementazione dei container stessi.

Nonché aspetti di DevOps, non ce lo dimentichiamo. Altra attività di cui abbiamo parlato in passato (episodio 22) e che rappresenta un po’ il punto di fusione tra questi due mondi.

Ora, non so se tu che mi ascolti hai partecipato al containerday di quest’anno. In caso contrario: peccato, perché è stato davvero interessante e ti invito a recuperarlo appena diverrà pubblicamente disponibile sul canale YouTube del GrUSP.

Purtroppo io non ho potuto partecipare in presenza, e questo mi dispiace sempre perché il confronto diretto con i partecipanti è più stimolante, tuttavia ho guardato da remoto tutti i talk e ne ho trovati vari veramente interessanti.

Sicuramente bellissimo è stato l’excursus storico iniziale, che mi ha fatto scoprire che il concetto di container risale addirittura a metà del secolo scorso.

Poi interessanti sono state anche le varie esposizioni di strumenti e metodologie per gestire il passaggio al modello containerizzato, le configurazioni dei container, il monitoraggio dei sistemi.

Fame di semplificazione

Ma se dovessi individuare una parola comune, un concetto cardine, un filo conduttore dell’intera giornata, oltre ovviamente a quello di container, direi proprio che potrebbe essere la semplificazione.

Raramente ho percepito una tale fame di semplificazione su tutti i fronti.

In effetti, nel mondo container, forse ancora di più che in altre branchie dell’informatica, c’è stata, negli ultimi anni, un’esplosione di complessità. O perlomeno essa è particolarmente sentita in questo ambito.

L’adozione in tempi recenti da parte di tante realtà è stata fortissima. E questo ha creato, ovviamente, molto caos legato all’espansione improvvisa.

Diversi approcci, diverse tecnologie e diverse professionalità, tutte mescolate insieme a produrre nuovi risultati in modi spesso eterogenei e un po’ confusionari.

Capiamoci: si tratta di un processo abbastanza naturale, specialmente nel campo dell’Informatica moderna, tuttavia, forse per una maggiore consapevolezza ed esperienza delle persone coinvolte, forse per il fatto che ultimamente anche la società si è evoluta (con leggi come il GDPR o il CRA), la spinta a normalizzare e standardizzare la situazione mi è sembrata particolarmente forte.

In effetti, il concetto di container è di fatto uno strato aggiuntivo che si posizione a metà strada tra i concetti classici di sviluppo software e amministrazione di sistemi.

E come tutti i layer intermedi, da una parte semplifica la vita ai layer sovrastanti e sottostanti, ma dall’altra rappresenta esso stesso un fattore di complessità.

La nascita di una figura professionale come il DevOps, a metà tra sviluppatore e sistemista, è un chiaro esempio di questa complessità aggiuntiva.

Ma anche il fatto che i container stessi abbiano delle proprie dipendenze e configurazioni, debbano rispettare requisisti specifici funzionali e di sicurezza, e richiedano un forte uso di automazione.

Tutti questi sono fattori che contribuiscono per forza di cose a rendere i sistemi più complessi da gestire.

Insomma, se fino a qualche anno fa la prassi era di doversi occupare di tenere in piedi i server e produrre gli artefatti dei software, ora ci sono anche da sviluppare e manutenere le pipeline, i container, i pod, e così via.

La strada verso la semplificazione è per le persone

Dal momento che i container portano con se una quantità enorme di benefici, ovviamente nessuno si sognerebbe mai di pensare che la soluzione a questo incremento di complessità possa essere evitare di utilizzarli.

La spinta che questa nuova tecnologia ha portato nel campo dello sviluppo software è assolutamente indiscutibile.

Come invece è giusto che sia, gli esperti del settore hanno elaborato e stanno ancora elaborando soluzioni per semplificare tanti aspetti della questione. E questa tendenza è venuta fuori chiara e forte dal containerday di quest’anno.

Si è parlato di sistemi di sicurezza, di monitoraggio avanzato, di meccanismi per assicurare la consistenza delle configurazioni, di metodologie per semplificare la migrazione da contesti non containerizzati.

Ma l’idea di fondo, quella di cui non si è parlato esplicitamente ma che si poteva facilmente leggere fra le righe, quella che tutto sommato pervade da sempre il mondo dell’informatica, è stata che la semplificazione, in fin dei conti, non è un fattore che riguarda le macchine o i software, ma le persone.

Si possono aggiungere e immaginare i più disparati servizi di controllo e correzione, i più complessi framework e standard di implementazione, ma alla fine i sistemi sono sempre sistemi e sono invece le persone che ci lavorano che determinano semplicità o complessità.

Definizione di semplice

Man mano che ho accumulato esperienza come sviluppatore e progettista di software, ho iniziato sempre più a preferire le soluzioni semplici a quelle complesse.

È una bella frase, lo so, d’effetto. Ma se ci pensi un attimo: chi non preferisce le soluzioni semplici?

Il vero problema, nel mondo del software è definire quali siano effettivamente le soluzioni semplici.

Una soluzione semplice potrebbe essere quella composta da poche righe di codice. Oppure quella che incarna al meglio gli standard di codifica attuali. Oppure ancora quella più generica possibile, che funziona bene dovunque serva o quella che rispetti al meglio le specifiche.

La soluzione più semplice potrebbe essere quella più facile da mettere in campo, quella più facile da manutenere, quella più facile da sostituire, quella più facile da comprendere o tutte queste cose insieme.

La verità è che la semplicità non è misurabile come lo sono invece la lunghezza, il peso o il tempo di elaborazione.

Non puoi assegnare un numero o un valore alla semplicità. O meglio, puoi farlo ma ti ritrovi nella stessa condizione di prima di dover definire come assegnare tale valore. Quindi sei da capo.

E questo perché la semplicità non è un fattore oggettivo, è un fattore umano e, come moltissimi altri fattori umani, è soggettivo.

Il fattore umano

La semplicità non è qualcosa che importa alle macchine. In nessun caso.

Le macchine eseguono le istruzioni sia che la soluzione che stanno andando a mettere in campo sia semplice sia che sia complessa.

Forse una soluzione complessa richiederà più tempo ma le macchine non hanno il nostro stesso concetto di tempo, lo sanno valutare e calcolare ma non ne percepiscono la finitezza, come invece facciamo noi.

La differenza tra semplice e complesso importa solo alle persone.

Una soluzione più semplice, qualsiasi cosa questo voglia dire, porta con se dei vantaggi per le persone che devono lavorarci, per i loro scopi, per le loro percezioni, per i loro stati d’animo.

Ed è proprio questo il punto: la semplicità è per le persone e dipende dalle persone e anche dal contesto.

Prima di tutto è necessario capire COSA le persone in gioco considerano più semplice e poi è possibile estrarre una serie di regole che aiutino a definire e valutare la semplicità relativa al contesto considerato.

Spesso accade che molte di queste regole siano comuni a più contesti ed è grazie a questo fatto che possono esistere gli standard, i framework, le convenzioni e tutti gli strumenti che solitamente usiamo per direzionare lo sviluppo.

Ma ogni contesto avrà sempre una qualche peculiarità che lo differenzia dagli altri e tenere conto di questo è fondamentale per formulare la propria corretta definizione di semplicità.

La responsabilità ed il tempo necessario

Una volta capito che cosa vuol dire per noi semplicità e una volta stabilite le nostre regole in merito, qualunque esse siano, dobbiamo però anche fare in modo che queste vengono applicate e rispettate.

Abbiamo detto che alle macchine, in generale, questo discorso non interessa, ma è sempre possibile implementare meccanismi automatici che aiutino a pilotare le cose verso la semplicità o valutare i risultati.

Vari talk del containerday erano incentrati proprio su questo tipo di attività: quelli sull’eliminare il configuration drift o sull’indirizzare lo sviluppo degli operators, ad esempio.

In fin dei conti, però, a mio parere, il segreto per ottenere le soluzioni semplici, e sopratutto mantenerle tali nel corso della vita di un qualsiasi progetto, è fare leva sulla responsabilità.

Le soluzioni, l’abbiamo detto, sono realizzate dalle persone e, per come la vedo io, devono anche avere sempre dei responsabili.

Attenzione: quando parlo di responsabilità non intendo dire che se sei verifica un problema un quella porzione di codice o a causa di quella configurazione, allora la persona che l’ha programmata deve essere punita in qualche modo, ovviamente questo non è utile.

Intendo, invece, che quando si produce una soluzione, deve esserci sempre qualcuno che non solo lo faccia seguendo le direttive prefissate, ma che continui a migliorare e mantenere quella caratteristica nel corso del tempo.

Il responsabile di qualcosa può essere il suo stesso autore o qualcun altro. Non importa.

Ciò che importa è che a quel codice, a quella pipeline, a quella libreria, a quel servizio, a quel server o a qualsiasi altro elemento, qualcuno sia designato a dedicare del tempo. Il giusto tempo.

Questa persona deve avere la responsabilità e le risorse per seguire e curare la propria porzione di sistema, intervenendo dove e quando necessario e interagendo con i responsabili dei sistemi collegati.

E ripeto: prevedere del tempo per queste attività è indispensabile.

Solo in questo modo sarà possibile avere soluzioni veramente semplici e funzionali. E l’insieme di elementi semplici e funzionali darà vita a sistemi migliori in un circolo virtuoso che farà bene a tutti: dagli sviluppatori al cliente finale.

Conclusione

Bene, oggi un discorso un po’ più leggero. So che stai aspettando con ansia il secondo episodio della serie su Ada Lovelace e ti assicuro che arriverà a breve. Mi serve solo un po’ di tempo per registrare perché la lunghezza è notevole rispetto al solito.

Come avrai invece notato, quello di oggi era un episodio di opinioni e riflessioni mie personali, quindi prendilo come tale. Io non ho la risposta a cosa sia la semplicità, ma almeno spero di aver posto la domanda nel modo corretto.

Se tu la pensi diversamente o vuoi aggiungere qualcosa al discorso mi farebbe molto piacere saperlo e ti ricordo che sul sito pensieriicodice.it trovi il link al gruppo telegram dove una community di persone fantastiche discute ogni giorno anche degli argomenti del podcast.

Ancora una volta, poi, ringrazio Edoardo Secco e Carlo Tomas per la loro donazione mensile che va avanti da ormai più di un anno.

Questo perché, ti ricordo, Pensieri in codice è un podcast indipendente, che può essere ascoltato liberamente presso tutte le piattaforme di podcast e che non ha pubblicità o sponsor e si regge unicamente sul mio tempo libero e sulle donazioni della community.

Se lo ascolti regolarmente, quindi, chiediti quanto vale per te il tempo che dedico a questo progetto (che ti assicuro: non è poco) e, se ritieni ne valga la pena, ricorda che sempre sul sito o nella descrizione dell’episodio trovi i link per contribuire anche tu al sostentamento del progetto.

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Sempre in descrizione, trovi anche il codice sconto del 10% per le conferenze del GrUSP (che a breve ci sarà il laravelday e l’angularday), i link al sito del containerday e altre informazioni interessanti.

Infine, se vuoi contattarmi, mi puoi scrivere a valerio@pensieriincodice.it (con due i) o mi trovi, ovviamente, su Telegram nel gruppo del podcast.

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Io lo utilizzo quotidianamente e ti assicuro che i vari software funzionano benissimo e sono molto comodi. I prezzi non sono bassissimi, lo capisco, ma queste offerte sono davvero allettanti e possono bloccare il prezzo anche per tutto il prossimo anno.

Soprattutto il piano Family, secondo me è interessante per chi vuole proteggere fino a 6 utenti, e condividere password e spazio di archiviazione fino a 3TB.

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E basta, direi che per oggi ho detto proprio tutto se non che non devi dimenticare che un informatico risolve problemi, a volte anche usando il computer!


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