Descrizione
Siti Web e App ne sono pieni e pilotano continuamente le nostre scelte. Interfacce volutamente oscure e macchinose che ci spingo a fare determinate scelte.
I link dell’episodio di oggi:
https://www.darkpatterns.org/
https://themarkup.org/2021/06/03/dark-patterns-that-mislead-consumers-are-all-over-the-internet
Attrezzatura:
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Crediti
Sound design - Alex RaccugliaVoce intro - Maria Chiara Virgili
Voce intro - Spad
Musiche - Kubbi - Up In My Jam, Light-foot - Moldy Lotion, Creativity, Old time memories
Suoni - Zapsplat.com
Cover e trascrizione - Francesco Zubani
Mostra testo dell'episodio
Quello che segue è lo script originale dell'episodio.
Ti è mai capitato, navigando sul Web o magari utilizzando un’app di avere la sensazione di compiere la scelta sbagliata per sapendo che infondo è sbagliata?
Di trovarti in quelle situazioni per cui hai deciso di voler cancellare quell’abbonamento mensile, ma una volta arrivato fin quasi al termine della procedura e poi rinunci?
Oppure di sapere di non volere quell’accessorio, ma poi, quando te lo propongono durante l’acquisto di qualcos’altro, dirti vabbé dai, ora lo compro?
A volte questo ci accade perché siamo distratti, siamo stanchi o semplicemente abbiamo cambiato idea, ci può stare.
Altre volte però la cosa non dipende propriamente da noi e oggi scopriamo perché, dopo la sigla!
Bentornato su Pensieri in codice, o benvenuto se è la prima volta che mi ascolti.
Che te ne pare della nuova sigla? Io la trovo fantastica, e quindi colgo l’occasione per ringraziare Chiara Virgili e Spad che ci hanno prestato la loro voce e Alex Raccuglia che ha curato il restyling sonoro del podcast.
Loro sono 3 persone fantastiche ma anche 3 bravissimi podcaster. Forse li conosci già, ma in caso contrario, sappi che ti stai perdendo qualcosa di bello, quindi vai in descrizione e recupera i link a Dannati Architetti, Mercurio e Technopillz! Mi raccomando!
La sigla, però, non è l’unica novità di quest’anno!
Scoprirai tutto un po’ per volta, ma per ora ti anticipo che sto lavorando a ben due nuove rubriche in aggiunta agli episodi classici che già conosci, che ti posso confidare che in futuro usciranno delle miniserie speciali, e che hai la possibilità di partecipare attivamente alla vita di Pensieri in codice!
Da oggi, infatti, puoi prendere parte alla selezione degli argomenti o addirittura richiedere un episodio su un argomento specifico, puoi contribuire a produrre un maggior numero episodi al mese e delle miniserie tematiche, puoi avere accesso a tutte le nuove uscite in anteprima e senza pubblicità, e molto molto altro ancora.
Per ora mi fermo con gli spoiler, ma tu puoi già iniziare a scoprire qualcosa di più sul sito ufficiale: pensieriincodice.it (con due i…)
Torniamo però all’argomento di questo episodio.
L’impressione di cui parlavamo all’inizio, cioè che su certe app o certi siti, alcune decisioni appaiano molto più complicate di altre… non è affatto un’impressione.
D’altronde la maggior parte dei siti che visitiamo o delle app che utilizziamo sono lì perché i proprietari possano trarne un qualche tipo di profitto, quindi c’è da aspettarsi che cerchino di pilotare l’attenzione e le scelte degli utenti verso ciò che genera maggiori introiti.
Questo però non vuol dire che una sana promozione di prodotti e servizi debba trasformarsi in una trappola per ignari utenti.
Prendi uno a caso dei giganti di Big Tech: prova ad aprire un nuovo account su Amazon o su Google o su Facebook.
Bastano 2 click, un indirizzo email e una password e il gioco e fatto. Puoi postare, comprare, comunicare come e con chi vuoi.
Ora prova a cancellare l’account che hai appena creato.
Devi andare nelle impostazioni, trovare il link per la cancellazione in fondo a qualche pagina di dettagli o profilo, cliccare, spiegare perché vuoi cancellare l’account, rispondere alla domanda vuoi solo bloccare o cancellare proprio?, confermare, attendere 30 giorni facendo attenzione a non ricollegarti mai all’account tramite Web, app, ecc. altrimenti il conteggio si azzera e finalmente, dopo un mese il tuo account viene cancellato.
Ora, potresti obbiettare che questo è un caso estremo. Cancellare un account non è cosa di tutti i giorni, e allora io ti chiedo: sei iscritto a Linkedin?
Hai notato come le notifiche riguardanti le richieste di collegamento da parte di altri utenti sono stranamente simili ad altre notifiche generate direttamente dal sito che recitano una frase tipo conosci tizio? Avete 10 collegamenti in comune.
L’unica differenza è che nel primo caso, l’utente ha espresso la volontà di collegarsi a te e se tu clicchi sul pulsantino nella notifica allora semplicemente rispondi affermativamente alla sua richiesta.
Nel secondo caso, invece, se clicchi sul pulsantino sei tu ad inviare una richiesta all’altra persona che potrà decidere se accettarla o meno.
Capisci bene che si tratta di eventi molto diversi ma resi quasi equivalenti dall’impostazione visiva.
Ecco questi che ti ho raccontato sono solo alcuni esempi di quelli che vengono definiti Dark Patterns.
Cioè dei percorsi o delle interfacce rese intenzionalmente poco chiari e fruibili in modo da avvantaggiare il proprietario del sito o dell’app rispetto all’utente che li sta utilizzando.
I Dark Patterns, infatti, rendono difficile effettuare operazioni o scelte che rappresentano un danno o uno svantaggio per il sito oppure spingono un utente verso un comportamento che normalmente non terrebbe, spingendolo a spendere più del dovuto o ad acquistare prodotti o servizi che normalmente eviterebbe.
So che quello che sto dicendo potrebbe sembrare impossibile o potresti pensare che solo uno sciocco possa cadere in una trappola del genere, ma la verità è che quando utilizziamo il PC o lo smartphone non leggiamo proprio ogni parola di ogni schermata.
Facciamo delle assunzioni, saltiamo interi testi e tendiamo a memorizzare degli elementi che ci indicano la giusta via da seguire.
Riflettici la prossima volta che un’interfaccia ti fa una domanda del tipo sei sicuro di voler continuare?. Se sotto alla scritta vedi due pulsanti, uno bello colorato di un colore pieno e brillante e l’altro più sbiadito o addirittura trasparente con solo un contorno nero, tu leggi le scritte sul pulsante? O dai per scontato che quello pieno sia la risposta affermativa e quello sbiadito la negativa?
Bene, le aziende, se vogliono, possono pilotare gli utenti (si sono sentite le virgolette, sì?) proprio sfruttando questo tipo di comportamenti che sono perfettamente normali e che tutti mettiamo in atto, soprattutto se siamo un po’ più stanchi o stressati.
Possono far sembrare che una pagina dica una cosa, quando invece dice qualcosa di diverso.
Possono far sembrare una opzione più appetibile di un’altra.
Possono farci sentire stupidi nel rifiutare un’offerta. E molto altro ancora.
E come possiamo difenderci noi utenti da tutto questo? Beh negli ultimi anni in molti Paesi i legislatori stanno iniziando a tenere conto di questi comportamenti e le multe e le azioni legali iniziano ad arrivare, ma sicuramente la prima linea di difesa dovrebbe partire da noi.
E come per tanti di questi fenomeni, imparare a riconoscerli è già un primo grande passo verso il saperli evitare.
Se infatti ci abituiamo a identificare i Dark Patterns quando ce li troviamo di fronte, saremo anche in grado di fermarci un attimo a riflettere se quello che stiamo per fare è veramente ciò che vogliamo.
Il termine Dark Pattern fu coniato nel 2010 da Harry Brignull e, oggi, il suo sito DarkPatterns.org ne riporta ben 12 tipologie diverse. Alcune più, altre meno comuni.
Proviamo a fare insieme una carrellata di quelle che mi sono sembrato più interessanti e forse scoprirai di essertele trovate già davanti senza saperlo.
La prima tipologia di Dark Pattern è la Trick Question (la domanda trabocchetto).
Si tratta di quelle domande che sembrano chiederti una cosa ma in realtà intendono altro.
Se ti stai chiedendo come sia possibile mettere su un pattern del genere, pensa semplicemente ad un form di registrazione.
In fondo trovi spesso i checkbox per accettare le condizioni, i termini di servizio, eventuali contratti e poi l’invio di materiale pubblicitario.
Ad un’occhiata distratta queste 4 scelte sembrano uguali: tutte necessarie per utilizzare il servizio.
In realtà, però, l’ultima è opzionale, ma la tua attenzione che è attirata dalle caselline di spunta, fa sì che tu non ti renda conto di star considerando tutte le voci come equivalenti: spunti la prima, la seconda, la terza, e perché non la quarta? Visto che sembrano tutte uguali?
Un’altro Dark Pattern è lo Sneak into basket (potremmo tradurlo come sgattaiolare nel carrello).
Questo pattern si può trovare ovviamente sui siti di ecommerce e consiste nella meccanica di inserire prodotti o servizi aggiuntivi durante l’acquisto, senza chiederlo esplicitamente all’utente. Solitamente sta poi a noi accorgerci del’elemento in più ed eliminarlo dal carrello.
Si tratta di un comportamento tipico di quei siti che vendono, ad esempio, elettrodomestici: stai comprando un condizionatore e ti ritrovi nel carrello le spese di montaggio. Sia mai che tu lo voglia montare da solo o abbia un tuo installatore di fiducia.
Anche i provider di servizio hosting applicano spesso questo pattern.
Provi ad acquistare, ad esempio, un dominio e facile che ti ritrovi in carrello anche il servizio di hosting collegato senza averlo richiesto.
Terzo Dark Pattern è il Roach Motel, che poi sarebbe la trappola per scarafaggi. Hai presente quelle scatolette che attirano l’insetto che resta poi bloccato all’interno.
Si tratta proprio della tipologia di pattern di cui abbiamo parlato all’inizio: iscriversi ad un servizio viene reso oltremodo semplice, anche con trucchetti come chiedere pochissime informazioni all’inizio e poi arricchire il profilo man mano che l’utente si sposta tra le schermate.
La possibilità di cancellare il proprio account, però, da quello stesso servizio viene implementata in maniera volutamente forzata e macchinosa.
In questo modo noi utenti abbiamo difficoltà a trovare la giusta voce di menu, ci scoraggiamo, preferiamo smettere di usare il servizio senza cancellare i nostri dati e tutto ciò va sempre a vantaggio del gestore del sito o dell’app che, in qualche modo, riesce a mantenere un minimo di contatto.
Esistono addirittura siti nei quali, per effettuare un acquisto una tantum, bisogna spuntare una casella, altrimenti il sistema ti iscrive direttamente per l’acquisto ricorsivo mensile.
Omaggio a Mark Zuckerberg è invece il dark pattern chiamato Privacy Zuckering, poiché per molto tempo, Facebook ne è stato il massimo utilizzatore mondiale.
Qui il trucco consiste nel prevedere nei termini di servizio di un qualsiasi sito o applicazione, una clausa che autorizza il gestore a vendere i tuoi dati a soggetti terzi.
Il mercato dei dati uno dei più fiorenti al mondo e le storture non mancano, se sei un ascoltatore affezionato saprai che ne abbiamo già parlato tanto qui su Pensieri in codice.
Purtroppo questo è uno di quei Pattern su cui è fondamentale un intervento dei legislatori: il GDPR è attualmente il più fulgido esempio di ciò.
Sì, perché, nonostante io sia di quelli che pensano che i contratti vadano letti prima di essere firmati e che valga sempre la pena di soppesare bene un’app o un servizio prima di adottarne l’utilizzo, mi rendo anche conto che leggere 80 pagine di un documento scritto in legalese, magari in un’altra lingua è un impiego di tempo che non tutti hanno.
Io stesso, spesso mi fido e basta.
I contratti dovrebbero essere semplici e chiaramente comprensibili anche dai non addetti ai lavori e fortunatamente l’Europa sta facendo molto in tal senso.
Per i siti di ecommerce, un altro dark pattern comune è quello di presentare prodotti simili con prezzi calcolati su basi diverse.
Sai bene che per confrontare correttamente certi tipi di prodotti è necessario conoscere il prezzo in base alla stessa unità di misura.
Per cibi e bevande, ad esempio si usa il prezzo al chilogrammo o al litro.
Spesso molti ecommerce mischiano un po’ le carte. Ad esempio potresti voler comprare dei beni di consumo come tovagliolini o fazzoletti di carta, risme, bicchieri usa e getta.
In tal caso, se il sito ti presenta un articolo con il prezzo al chilo, un altro con prezzo a unità, un altro ancora con prezzo per confezione, tu dovrai metterti a fare tutti i calcoli manualmente e difficilmente riuscirai a fare un acquisto informato.
Sempre alcuni siti di ecommerce utilizzano il dark pattern dei costi nascosti.
In pratica, mentre navighi nel catalogo e e riempi il tuo carrello, ti vengono mostrati dei prezzi e il loro totale, ma, subito prima di pagare, ecco che compare una riga che aggiunge una cifra per le tasse ed un’altra per le spese di spedizioni.
Certo il gestore del sito potrebbe obiettare che fino a quel punto non conosceva il tuo paese di residenza e il tuo indirizzo, quindi non poteva stimare i costi da aggiungere, ma in tal caso, cosa gli costava mettere un pulsantino nel carrello per inserire queste informazioni?
Se io, come utente, voglio fare un acquisto informato, inserisco i miei dati e mi faccio calcolare subito anche tasse e spedizioni, senza dovermi trovare la sorpresa all’ultimo momento.
Il trucco sta nel fatto che se magari ho speso tanto tempo e risorse nel confronto e la scelta dei prodotti, a quel punto abbandonare tutto perché sono apparse delle voci di spesa in più, mi costerà tanto dal punto di vista sia emotivo che temporale e sarò meno propenso a rifare il tutto su un altro sito.
Il confirmshaming è probabilmente il mio dark pattern preferito.
Si tratta di quella pratica per cui, quando ci viene proposta una scelta, rifiutarla viene fatto apparire come qualcosa di stupido.
In poche parole è un modo per farci sentire scemi se rifiutiamo l’offerta o addirittura in colpa perché stiamo sprecando una ghiotta occasione.
L’utilizzo di questa pratica si trova un po’ dappertutto.
L’iscrizione ad Amazon Prime, ne è un esempio: quando appare il banner che la propone, le scelte sono qualcosa del tipo Sì, voglio le spedizioni in un giorno per milioni di prodotti senza costi aggiuntivi oppure No grazie, non voglio spedizioni in un giorno illimitate.
Oppure anche il processo di installazione di Windows 10 prova ad applicare confirmshaming, infatti, ad un certo punto ci invita a registrarci con il nostro account microsoft e, se non vogliamo, dobbiamo cliccare su un piccolo link in basso a destra che recita qualcosa tipo no grazie, voglio utilizzare il sistema con funzionalità limitate.
Infine, un ultimo dark pattern molto comune sono il disguised advertaising con il quale, si tenta di confondere gli utenti per fare in modo che clicchino su degli elementi della schermata invece che su quelli che stanno cercando.
Palese esempio di questa pratica sono i siti generici di download di software. Hai presente quei siti dove poi scaricare le ultime versioni di più o meno qualsiasi programma in circolazione? Mi riferisco ad esempio a softpedia, a downloads.cnet, a filehippo.
Se ti sei mai trovato a scaricare da questi siti, avrai notato che non è proprio chiaro dove sia il pulsante per il download perché spesso appaiono banner pubblicitari dappertutto che contengono immagini di pulsanti lampeggianti con scritto download now, Start download, ecc.
In realtà, poi, il vero link per il donwload è piccolo e nascosto nel centro della pagina in mezzo ad altri mille elementi, o addirittura, il download parte in automatico dopo 10 secondi, tempo più che sufficiente per l’utente per cliccare su uno dei banner nel disperato tentativo di scaricare il software.
Come ti accennavo prima, questi sono solo alcuni dei DarkPatterns attualmente in uso.
Io li ho selezionati perché li ho trovati interessanti e perché bene o male mi sono reso conto di averli incontrati con una certa frequenza e ho immaginato che la stessa cosa capiti anche a te.
Se sei interessato ad approfondire l’argomenti ti consigli di visitare il sito darkpatterns.org o di seguire l’account Twitter di Dark patterns che twitta sempre tanti esempi.
Inoltre, in descrizioni trovi anche un link ad un articolo di themarkap in cui ci sono 6 mini-test casuali per verifcare se sei in grado di individuare un dark pattern. È molto divertente ed istruttivo: ti consiglio di provare.
Spero quindi che l’episodio di oggi ti sia piaciuto e ti ricordo che questo podcast è gratuito per tutti e libero da pubblicità per merito di un gruppo di sostenitori che ogni mese supportano economicamente il progetto in cambio di piccole ricompense.
Se anche vuoi darmi una mano, puoi farlo collegandoti al sito pensieriincodice.it (mi raccomando con 2 i).
Puoi ascoltare gli episodi sulle maggiori piattaforme e app di podcast o riceverle direttamente sullo smartphone iscrivendoti al canale Telegram.
Se Pensieri in codice ti piace, e se sei arrivato fin qui immagino ti piaccia, puoi condividerlo con un amico per farglielo conoscere: farai un favore ad entrambi.
Per ora, ti do appuntamento al prossimo episodio e ti ricordo che un informatico risolve problemi, a volte anche usando il computer.
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