Descrizione
Un interessantissimo episodio della rubrica Community Edition realizzato da Alex Ordiner, responsabile tecnico audiovisivo, che ci porta dietro le quinte dell’audio per gli eventi dal vivo.
Se anche tu vuoi parlare di qualche argomento interessante su Pensieri in codice, scrivimi su Telegram o all’indirizzo valerio@pensieriincodice.it
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Crediti
Sound design - Alex RaccugliaVoce intro - Maria Chiara Virgili
Voce intro - Spad
Musiche - Kubbi - Up In My Jam, Light-foot - Moldy Lotion, Creativity, Old time memories
Suoni - Zapsplat.com
Cover e trascrizione - Francesco Zubani
Mostra testo dell'episodio
Quello che segue è lo script originale dell'episodio.
Introduzione
Quando pubblico un episodio di Pensieri in codice cerco sempre di dedicare il massimo impegno per ottenere la migliore qualità audio possibile. Questo perché ritengo che un prodotto che arriva nelle tue cuffie - e quindi nelle tue orecchie - debba essere molto curato dal punto di vista sonoro. Ovviamente.
Ma una cosa del genere, per un piccolo podcast come il mio, è relativamente semplice. Hai mai pensato, invece, a quanto sia complicato veicolare il suono in contesti più complessi? Come ad esempio un concerto o uno spettacolo?
Beh, nell’episodio della serie Community Edition di oggi, Alex Ordiner, responsabile tecnico audiovisivo, ci illustrerà - con esempi e dovizia di particolari - proprio le varie fasi della gestione dell’audio durante un evento dal vivo.
Dopo la sigla, quindi, scopriremo come funziona il suono, come viene gestita la catena audio, quali sono gli strumenti tecnici e perché vengono utilizzati in determinati modi e, più in generale, quanto può essere complessa l’organizzazione di un qualcosa che, magari, noi diamo per scontato.
Buon ascolto!
Alex Ordiner - Dietro le quinte di un evento dal vivo - L’audio
Attenzione, questa parte dello script è stata generata dall’episodio utilizzando Whisper
Ciao a tutti, ed eccoci qua in questo piccolo esperimento in cui provo a raccontarvi il dietro le quinte di uno spettacolo, di un evento dal vivo, di una situazione live, insomma. Più che altro per capire la parte tecnica di tutta questa questione, cioè che cosa succede a grandi linee, che apparecchiature sono utilizzate, ma anche che professionalità sono coinvolte e qual è il ruolo. Gli aspetti da affrontare sono tanti e, per esempio, la questione di come funziona il suono, ovviamente non sono competente su tutti. Però, anche decidendo di trattare solo i principali, ho valutato che affrontare inizialmente un solo aspetto potrebbe rendere le cose più semplici e comprensibili. Inizierei quindi dall’audio. Ho pensato di impostarla così, e vorrei raccontare quali sono i macroelementi di una catena audio, inizialmente, e per poi andarli a scovare, a rintracciare in varie situazioni, da quelle più piccole fino a eventi medi, per arrivare fino agli eventi molto grandi. Prima di vedere proprio praticamente tutte le apparecchiature coinvolte, permettetemi di fare una carrellata veloce, non preoccupatevi, sulla struttura della catena audio, quello che avviene in un evento dal vivo moderno, e trovare e identificare le sue principali componenti. Iniziamo quindi questa carrellata con una semplice immagine in mente. C’è una persona che sta parlando, un oratore che sta parlando, noi siamo gli spettatori di fronte a lui e sentiamo la sua voce. Allora, cosa sta succedendo praticamente? Iniziamo dal nostro oratore. Lui sta parlando, sta emettendo un suono. E qua già ci fermiamo subito. Che cos’è un suono? Non andremo troppo nel tecnico, chi conosce l’argomento mi perdoni le semplificazioni, ma il suono è una variazione di pressione che si propaga in un mezzo. Allora, nel nostro caso il mezzo è l’aria, cioè questo gas che ci circonda, l’atmosfera. E un corpo elastico che si muove in questo mezzo, cioè un corpo capace di vibrare, produce un cambiamento di pressione. Pensate a una corda di una chitarra tesa fra due punti. Quando la pizzico, la colpisco, la faccio vibrare, questa oscilla. Oscillando si sposta nello spazio ed è come se in un momento spingesse l’aria in un verso, poi la corda oscilla dall’altra parte ed è come se richiamasse l’aria, poi la rispinge, la richiama e avanti così, creando dei momenti di pressione seguiti subito dopo da dei momenti di depressione. Ecco, ed è proprio questa la variazione di pressione che ci interessa. E questa cosa la potremmo fare anche semplicemente spostando la mano nell’aria, potrebbe venire da pensare. Cioè spingo la mano lontano da me, poi la ritiro verso di me, la rispingo e via avanti. Sto creando effettivamente delle zone di pressione e delle zone di depressione. Però questo movimento è troppo lento perché il nostro corpo possa sentirla. La nostra fisiologia, infatti, è tratta per sentire delle vibrazioni che vanno molto approssimativamente dalle 20 volte fino alle 20.000 volte. Proprio la nostra storia evolutiva ha privilegiato il fatto che fossimo sensibili a questo range di frequenze. Non sentiamo né le frequenze più basse né le frequenze più alte, quelle che vengono chiamate suoni subsonici o ultrasuoni. Abbiamo detto quindi che questa variazione di pressione si propaga nel mezzo, nell’atmosfera. Infatti, come recita un famoso sottotitolo di un film, nello spazio nessuno può sentirti urlare perché manca il mezzo di trasmissione. Quest’onda di pressione che si propaga, mano a mano che si allontana dalla sorgente, cioè nel nostro caso l’oratore che parla, si affievolisce col passare dello spazio. Mano a mano che appunto si allontana dall’emettitore, il suolo cara d’intensità fino a diventare inudibile. Se quest’onda sonora, prima di essersi affievolita del tutto, incontra un ascoltatore, quest’ultimo tramite i suoi organi di senso, principalmente le orecchie, non solo ma diciamo le orecchie, la percepisce. La nostra struttura biologica quindi fa sì che siamo sensibili a questo range di variazione di frequenze e mandiamo questi dati al nostro cervello che li traduce e ci fa vivere l’esperienza del suono per come la conosciamo. Quindi ritorniamo alla nostra immagine iniziale. Se l’ascoltatore è troppo lontano, oppure c’è troppa confusione o l’oratore ha una voce troppo bassa, l’ascoltatore non riuscirà a sentire o comunque a comprendere le parole. Ecco quindi il problema che tecnologicamente tenteremo di risolvere, ovvero quello di farci sentire. Storicamente non abbiamo certo incominciato in tempi recenti ad affrontare questo problema. Tecniche ed accorgimenti per farsi sentire in varie situazioni immagino siano state inventate dall’alba dei tempi, è un problema che ci siamo sempre posti. Abbiamo infatti sviluppato tecniche oratorie per aumentare proprio la voce, abbiamo sviluppato luoghi che sfruttano le caratteristiche, la diffusione del suono a nostro vantaggio. Abbiamo di fatto inventato i teatri, gli anfiteatri, gli auditorium, abbiamo creato il palco dove chi parla è rialzato rispetto agli ascoltatori. Insomma, tecniche ce ne sono state tante, sono interessantissime, però a noi in questo podcast interessa la parte tecnologica della cosa. Quindi partiamo da quando arriva l’elettronica in questo mondo a darci una mano. Che cosa ci siamo inventati quindi? Immaginiamo di mettere una sorta di orecchio elettronico vicino al nostro oratore. Orecchio elettronico capta l’onda sonora, cioè la variazione del campo di pressione, e la traduce in un segnale elettrico. La traduce nella maniera più fedele possibile, o comunque con delle caratteristiche che abbiamo reputate valide per il nostro scopo. Non è un segnale elettrico casuale, è un segnale che si muove in qualche modo copiando il segnale sonoro, cioè la mia grandezza fisica. Il suono infatti viene catturato e tradotto in un segnale elettrico, infatti si parla di trasduttore, una specie di interprete fra queste grandezze. Questo segnale elettrico, dicevamo, si muove copiando e mimando il segnale sonoro. Se c’è un aumento di pressione nel segnale sonoro avrò un aumento del valore del segnale elettrico. Quando avrò invece una depressione nel segnale sonoro avrò magari un valore negativo nel segnale elettrico. Ecco che appunto questo segnale varia in maniera analoga alla variazione del nostro segnale, della nostra grandezza fisica del segnale sonoro. Infatti parliamo proprio di segnale analogico, cioè che si muove per analogia. A questo punto ho un segnale elettrico che, tra virgolette, copia il mio segnale fisico, il mio suono. Che vantaggi posso trarne? Beh noi abbiamo imparato a fare tante cose con un segnale elettrico. Una di queste ad esempio è quella di trasportarlo. Con dei conduttori possiamo trasportarlo da un punto ad un altro a una velocità che per il nostro scopo possiamo tranquillamente approssimare all’istantaneità. Posso però fare un’altra cosa. Posso utilizzare un orecchio elettronico al contrario. Cioè mentre prima captavo un’onda sonora e la traducevo un segnale elettrico, adesso metto un altro dispositivo, un altro trasduttore, che lavora al contrario. Cioè che riceve in ingresso un segnale elettrico e mette in movimento una membrana, cioè un qualcosa che fisicamente vibra nell’aria producendo un suono. E questo movimento meccanico sarà stato fatto in analogia al segnale elettrico, che a sua volta era in analogia al segnale sonoro. Quindi in pratica io ho catturato un suono da una parte, l’ho buttato nei conduttori e l’ho riemesso in ambiente in un altro punto dello spazio. Avrete capito, immagino che il primo orecchio elettronico, quello che capta il suono, è quello che chiamiamo normalmente microfono, mentre il secondo orecchio elettronico, quello al contrario, quello che emette il suono, è quello che chiamiamo speaker, cassa, altoparlante. Eccoci quindi, iniziamo a entrare nel concreto. Quindi prendo un microfono, tiro un cavo, lo collego ad un altoparlante e avrò un suono? Eh, teoricamente sì, ma in pratica non funziona così. Non funziona perché il segnale elettrico che produce il microfono è veramente piccolo, è troppo poco potente per poter mettere meccanicamente in movimento la membrana dell’altoparlante. E qua apro una piccola parentesi. Cercherò di non usare mai termini come tensione, corrente, potenza, resistenza, dal punto di vista tecnico. Utilizziamo un generico forza o energia, non da un punto di vista fisico, ma proprio da un punto di vista colloquiale. Non ci serve, secondo me, in questo ambito utilizzare i termini tecnici precisi, non stiamo facendo calcoli. Ci serve invece capirne i concetti generali. Quindi ritorniamo al nostro microfono. Genera una corrente piccolissima, molto poco potente, molto debole, che non è in grado di muovere l’altoparlante. E quindi? Abbiamo già perso? È già finito tutto? No, perché noi abbiamo imparato a farci tante cose con il segnale elettrico. Sappiamo infatti creare dispositivi che accettano in ingresso questo segnale molto molto debole e in uscita ci danno lo stesso segnale, ma più potente. E come fanno a funzionare? Perché in ingresso, oltre al nostro segnale debole, ricevono anche una scorta di potenza, sempre elettrica, che possono utilizzare. E’ la classica alimentazione di corrente. Questi dispositivi quindi prendono questa energia e la utilizzano per rafforzare il mio segnale debole, ingrandendolo, rendendolo più forte, ma cercando di mantenere il più possibile intatta la sua informazione. E il segnale è sempre quello, è semplicemente molto più potente. Se metto quindi questo dispositivo fra il mio microfono e il mio altoparlante, prendo il mio segnale molto molto debole, lo amplifico, lo rendo molto più forte, lo mando all’altoparlante, allora sì che lui si muoverà e creerà un suono derivato dal mio segnale elettrico. Questo apparecchio che abbiamo introdotto è l’amplificatore. Ricevo un segnale audio debole e sfruttando un’alimentazione fornisce un’uscita, un segnale audio amplificato adatto a muovere meccanicamente. Questa cosa mi dà subito un altro grosso vantaggio, oltre che catturare un suono da una parte in un punto e riemetterlo in un altro. Mi dà ad esempio la possibilità di riemetterlo in un ambiente molto più forte di quello originale. Ma se gli oratori sono più di uno, mi serve quindi un amplificatore, uno speaker per ogni microfono? Sì, funzionerebbe, certamente funzionerebbe, ma è poco conveniente, sia da un punto di vista logistico che economico. Però torniamo allo stesso punto, noi sappiamo elettrici e un’altra cosa che sappiamo fare è saperli unire. Posso mettere quindi più microfoni, farli convergere tutti in un unico dispositivo che me li miscela, me li unisce e mi dà in uscita un unico segnale che poi verrà amplificato e andrà agli speaker. Questo oggetto è il mixer, perché il miscelatore in italiano suonava male. Questo mixer poi nella pratica, oltre a semplicemente unirmi vari segnali microfonici, fa tantissime altre cose. Ad esempio mi livella i segnali dei microfoni, perché potrei avere dei microfoni che mi forniscono un segnale elettrico molto basso, qualcuno leggermente più forte, comunque basso, ma leggermente un po’ più forte, o potrei avere l’audio di un lettore musicale, di un computer che è più forte di un segnale microfonico. Il mixer quindi prende tutti questi segnali, me li livella con un primo stadio, me li porta in una zona di lavoro. Questo primo stadio viene detto di preamplificazione, me li pareggia in potenza. Oltre a questo, questo dispositivo può anche processare il segnale, può cambiarne l’equalizzazione, la dinamica, aggiungere effetti creativi. Magari di questo faremo qualche piccolo accenno più avanti. Quindi abbiamo detto che unisce questi segnali e crea un’uscita, ma in verità crea più uscite, molte uscite differenti a seconda del nostro scopo. Questo è un aspetto secondo me interessante e poco conosciuto, su cui vorrei spendere due parole più avanti. Ma con questo secondo me abbiamo chiuso quelli che sono i macroelementi principali che troviamo in una catena audio di un evento appunto dal vivo. Nel prossimo blocco andremo a cercare questi elementi all’interno di situazioni reali, dalle più piccole alle più grandi. Eccoci quindi pronti a trovare i nostri macroelementi in situazioni reali. Iniziamo da un esempio molto piccolo. Il venditore a una festa di paese, a una sagra, sta parlando usando un piccolo sistema di amplificazione a una piccola folla radunata davanti a lui. Allora iniziamo ad analizzare i componenti. Il nostro uomo avrà un microfono ad archetto, quello che viene collegato all’orecchio o alla testa, che porta la capsula del microfono molto molto vicino alla bocca, attraverso uno stelo che corre sulla guancia. Mi fermo subito su questo esempio per aprire subito una parentesi e parlare della posizione del microfono rispetto alla bocca del venditore. In tutti i casi in cui andiamo a posizionare un microfono, la posizione di questo microfono in relazione alla sorgente sonora e all’ambiente è uno degli aspetti più importanti quando bisogna gestire un’amplificazione, un evento dal vivo, ma anche altre cose come ad esempio una registrazione. Non è assolutamente un aspetto secondario, anzi. Questo perché oltre al tipo di suono, al colore del suono che il microfono dà, a seconda di dove viene messo, volevo soffermarmi sul fatto che il microfono non sa cosa deve catturare, cioè non sa cosa interessa a noi, non sa quello che per noi è segnale e quello che invece è rumore. Mi spiego. Nel nostro esempio il venditore che parla è quello che definiamo segnale, ma lo definiamo noi segnale. In quell’ambiente la sua voce sarà mischiata col rumore della folla, la confusione, la musica che è intorno. Il microfono, questa differenza fra ciò che è segnale e ciò che è rumore, non può capirla. Lui è semplicemente un trasduttore immerso nell’onda sonora che lo travolge, che è composta da tutte queste cose, da quello che per noi è segnale e da quello che per noi è rumore. Quindi il nostro scopo, lo scopo del tecnico, è quello di posizionare il microfono in maniera da massimizzare il segnale e ridurre il rumore già naturalmente, già solo per come è posizionato il microfono. E quindi direte voi è molto semplice, basta sempre mettere il microfono il più vicino possibile alla sorgente e in moltissimi casi è proprio così. Non è sempre detto però, perché magari pensate di registrare un pianoforte in una bella sala con una bella acustica, per noi parte del segnale è anche il suono della stanza, è anche come suona la stanza. In quel caso il riverbero farà parte del mio segnale perché gli darà una connotazione positiva, mentre molto probabilmente in una conferenza il riverbero avrà solo connotazioni negative. Io cercherò di posizionare il microfono più vicino possibile all’oratore per cercarlo di fare il più possibile dall’ambiente per garantirne la comprensibilità. Quindi stabilito che la scelta di dove posizionare il microfono è determinante per la riuscita del nostro intento, ritorniamo al nostro esempio. Quindi il venditore col suo microfono ad archetto. Questo microfono è collegato a una cassa che vediamo come una scatola nera, cioè proprio un unico oggetto nero, da cui sentiamo uscire il suono amplificato. E quindi tutti gli elementi che abbiamo visto prima non ci sono? No, ci sono proprio tutti, semplicemente che sono racchiusi in un unico oggetto. Quindi il segnale elettrico del nostro microfono viaggia via cavo o via radio wireless, ma non entriamo in questa differenza, entra in questo parallelepipede e il primo stadio che incontrerà sarà un preamplificatore, sicuramente, e potrebbe anche essere accompagnato da un piccolo mixer. Pensiamo ad esempio a una cassa che mi dà la possibilità di collegare via bluetooth un telefono. Ecco, questa è una componente mixer molto semplice, ma quello è esattamente il mixer. L’uscita di questo stadio mixer viene mandata ad un amplificatore. L’amplificatore è sempre interno, non lo vediamo da fuori come elemento separato. A sua volta questo amplificatore va all’altoparlante, sempre internamente. Noi tutti questi cavi e collegamenti non li vediamo, ma vediamo un unico grande oggetto nero. Potremmo addirittura non vedere nemmeno la presa dell’alimentazione collegata a questo apparato, ma ciò non vuol dire che sta lavorando senza potenza, senza corrente. C’è e in questo caso è una batteria. Sarà una cassa a batteria che ogni tanto dovrà essere rimessa in carica per funzionare. Passiamo ora a un altro esempio un po’ più interessante, è quello di una piccola conferenza. Arriviamo come spettatori, vediamo un palco, vediamo un podio. Sul palco ci sono svariati i microfoni, non c’è nessuno in questo momento che sta parlando, mentre al podio c’è una persona che sta parlando. Vediamo due casse ai lati di questo piccolo palchetto e sentiamo la voce amplificata. Prima di andare a cercare tutti gli elementi, ci immaginiamo la stessa situazione magari in un teatro, in un piccolo teatrino, in un auditorium. Ipotizziamo di avere più difficoltà a vedere le casse, ad esempio perché in alcune installazioni fisse residenti le casse potrebbero essere state mascherate dietro telefoni trasparenti, cioè che sono trasparenti al suono ma non alla vista, oppure se siamo in strutture architettoniche più complesse, più lavorate, potrebbero essere state integrate nell’architettura stessa del teatro, rendendoci di fatto molto difficile individuarle a vista. Ma torniamo al nostro palchetto all’aperto. Sul podio c’è un microfono, potrebbe essere quello chiamato normalmente gelato, oppure il collo di cigno, lo stelo, quei microfoni molto sottili e snodati, che si allunga dalla base del podio per cercare di avvicinarsi il più possibile alla bocca del nostro oratore. È quello che abbiamo visto prima, cercare di posizionare il microfono più vicino possibile alla voce dell’oratore. Tutti questi microfoni sono stati usati per cercare di avvicinarsi al nostro oratore, per cercare di cercare di avvicinarsi al nostro oratore. Tutti questi microfoni, se seguiamo i cavi, si concentrano in quelle che in gergo viene chiamata ciabatta audio o stagebox, cioè è un collettore di tutti questi microfoni che hanno connessioni meccaniche standard, li racchiude tutto in un unico grosso cavo e li porta al mixer. Ipotizziamo che il mixer sia a fianco al palco. Questo trasporto è fatto in analogico, potrebbe essere fatto in digitale, ma su questa questione vorrei aprire una parentesi più avanti, quindi per ora rimaniamo nell’analogico. In questo caso, rispetto all’esempio di prima, il mixer ha il compito di unire più segnali microfonici, quello del podio, i vari segnali del tavolo, oltre magari ad altri contributi, video da computer, musica da mettere nei tempi morti e svariate altre possibili sorgenti audio. Da questo mixer escono due segnali, tipicamente uno per il canale destro e uno per il canale sinistro, che vanno non più direttamente alle casse, facciamo caso, ma ad amplificatori separati, cioè che sono apparecchiature, normalmente standard rack, che è il segnale audio del mixer. A loro volta forniscono il segnale amplificato che noi porteremo all’altoparlante, quindi seguiamo questo cavo che effettivamente va all’altoparlante. In questo caso parleremo di casse passive, cioè che non hanno al loro interno l’amplificatore, mentre definiamo le casse attive quando all’interno dello stesso oggetto c’è sia il diffusore che l’amplificatore stesso. Nelle casse attive ovviamente va portata corrente. Non c’è una regola per cui è meglio uno o meglio l’altro, ci sono diversi vantaggi e svantaggi a seconda di parecchi fattori. Anche commercialmente, a livelli medi e anche molto alti, sono proposte entrambe le soluzioni, quindi non è che uno è meglio dell’altro. Saliamo ancora di livello, passiamo a quello che potrebbe essere un grosso evento, un grosso concerto. Se siete stati a un grosso concerto, avete visto foto di installazioni, di eventi di una certa dimensione, molto probabilmente avrete notato quelli che si chiamano line array, cioè dei moduli che si attaccano ai lati del palco, con una forma un po’ inclinata, infatti in gergo vengono anche chiamate banane, proprio perché scendono piegandosi. Questi sono di fatto una serie di altoparlanti modulari, tanti moduli collegati uno con l’altro e piegate con strutture appositamente studiate e appese molto al di sopra della testa delle persone, proprio per fare in modo di distribuire meglio il suono. La progettazione di questi impianti è un argomento molto complesso, parte molte volte proprio da un CAD 3D dell’ambiente da sonorizzare. L’obiettivo è quello di bagnare tutta la platea, l’area da coprire, in maniera più uniformemente possibile. Bagnare perché è come se stessi cercando di appunto bagnare la mia folla con un tubo dell’acqua. Non devo fare una cascata in un punto e lasciare un’altra zona a secco, cioè devo cercare di distribuire la quantità di suono nella maniera più uniforme possibile. Questi sistemi sono molto importanti, ma sono anche i più direttivi, mi permettono di concentrare il suono dove voglio. Quindi oltre a evitare che chi sia sotto il palco venga stordito dal suono e chi è in fondo non senta quasi niente, riesce anche a concentrare il suono solo nella zona di interesse, cercando di emetterne il meno possibile in ambiente per contenere il disturbo che un forte volume provoca all’esterno della mia area di interesse, della mia area di lavoro. Anche in questo caso possiamo ritrovare i nostri elementi di partenza, siamo moltissimi emettitori, moltissimi casse e altoparlanti e di conseguenza moltissimi finali, gli amplificatori, lo stadio finale della catena prima dello speaker. Anche in questo caso gli amplificatori possono essere integrato nel modulo del line array, ci sono infatti line array attivi, oppure oggetti separati e ci sono i line array passivi. A seconda delle dimensioni si può tranquillamente parlare di decine di finali, magari molti dedicati solo alla parte più acuta, altri solo alla parte dei subwoofer. Tutti questi vengono gestiti separatamente. Molto bene, ma in questo esempio in grande siamo partiti però al contrario, cioè guardando prima il sistema di amplificazione. Ristalliamo allora la catena e arriviamo allo stadio prima, cioè quello del mixer. Il mixer, e questo è valido anche per piccoli eventi, è la postazione in cui il tecnico opera effettivamente durante l’evento. Normalmente, se tutto va bene, poi ovviamente le eccezioni esistono, tutto il resto dell’impianto, la scelta dei microfoni, la loro posizione, tutto il sistema di amplificazione, la taratura di questo sistema, ecco tutto questo viene allestito e tarato prima. Durante l’evento la stragrande maggioranza del lavoro viene fatta proprio al mixer ed è lì che si concentra la quasi totalità dell’operatività del tecnico. Questo mixer, anche chiamato banco audio, gestisce molti microfoni, ad esempio tutti quelli che arrivano dal palco se immaginiamo che ci sia un gruppo che suona. Poi magari c’è anche una presentazione, i presentatori parlano, poi arrivano anche uno o due comici, c’è un intervento in videoconferenza, ci sono delle domande dal pubblico della sala, quindi ci sono dei radio e microfoni che girano, dei contributi video. Ecco, adesso non andremo ad analizzare tutte le varie casistiche di microfoni e di sorgenti, ma sappiate che si raggiungono tranquillamente in un evento dal vivo svariate decine di canali. Infatti i mixer vengono scelti, oltre che per le loro capacità di processo, per la gestione dei segnali, anche proprio per il numero di canali che riescono a trattare. Possiamo andare da mixer piccoli che trattano pochi canali, qualche decina di canali e, perché no, anche più di 100 canali nel caso delle situazioni più complesse. Ovviamente per gestire un numero così alto di canali ci sono tutta una serie di tecniche e strategie di raggruppamento e di utilizzo. Senza però entrare nel dettaglio sui molteplici ingressi che un mixer ha, secondo me è forse più interessante, anche perché è un po’ meno intuitivo, raccontare invece le uscite che sono necessarie. Allora, finora abbiamo pensato solo all’uscita verso il pubblico, dividendola magari in due canali, sinistro e destro, ma in verità adesso andremo a vedere come di uscite da gestire ce ne sono molte e sono molto diverse fra di loro e sono tutte gestite dal mixer, o meglio dai mixer, che potremo trovare in una situazione di evento. Iniziamo con qualche esempio. I musicisti sul palco. Ogni musicista, o quasi ogni gruppo di musicisti, ha un ascolto dedicato, dove sente un suono diverso da quello emesso dall’impianto. È proprio un mix creato per lui. Se pensate ai monitor audio, gli altoparlanti, le casse che sono appoggiate sul bordo del palco e sono rivolte verso l’interno, verso i musicisti, oppure sempre più frequentemente si vedono gli near monitor, gli auricolari che tappano l’orecchio, ecco a questi dispositivi arriva potenzialmente un segnale molto diverso da quello che voi sentite come spettatori. Perché i musicisti di un ascolto dedicato? Beh, se ci pensate, ogni musicista avrà la necessità di sentire il proprio strumento magari leggermente più alto rispetto alla media degli altri, perché in questo modo può tarare la sua esecuzione in maniera più precisa. Anche qua, normalmente, le eccezioni, come avrete capito, si sprecano in questo mondo. Ad esempio, un corista che nel mix finale risulterà in sottofondo rispetto alla voce del cantante solista, lui però avrà bisogno di sentirsi a di riferimento per prendere intonazione e tempo. Ecco quindi che sto creando svariati mix a seconda dei musicisti o dei gruppi di musicisti. Chi esegue questi mix? Praticamente chi li fa? Anche qua dipende molto dalle dimensioni del nostro spettacolo. Possiamo andare ad esempio in situazioni piccole, in cui c’è un unico mixer di sala, e addirittura i musicisti comunicano col fonico a gesti o con le frasi durante il soundcheck. Alzami questo, abbassami quest’altro. Ma sempre più frequentemente, soprattutto con l’avvento dei mixer digitali, è ormai consuetudine vedere un tecnico di palco con un tablet. Il tablet è collegato al mixer principale. Quando vedete questo tecnico che si aggira fra i musicisti col tablet in mano, quello che sta facendo molto probabilmente è quello di creare e controllare questi mix, cioè gli ascolti ai musicisti. In altre piccole situazioni, addirittura magari quelli di gruppi o band che si autogestiscono, il musicista, tramite lo smartphone, il telefono, ha un’applicazione che gli permette di controllare direttamente la sua spia. Quindi si crea lui il proprio mix e se lo aggiusta e se lo tara durante il concerto e secondo le sue necessità. In situazioni invece più grandi, dove la gestione delle spie è complessa, viene installato proprio un mixer dedicato, un mixer di palco. Fisicamente si trova normalmente a lato del palco, nascosto dalle quinte, e ha proprio lo scopo di gestire gli ascolti e c’è in questo caso un fonico di palco dedicato a questo. E quindi già a questo punto abbiamo visto svariate uscite diverse da quella principale, tutte che riguardano però il palco e quello che succede nel palco. Ma in verità non abbiamo finito qua. Ad esempio sto facendo un evento dal vivo, quindi ho il mio pubblico, la mia uscita principale, ma sto anche fornendo l’audio per lo streaming, o per una videoconferenza, o per una registrazione. In verità tutte queste uscite sarebbe esattamente la stessa cosa. Pensate ad esempio alla differenza di ascolto che può avere lo spettatore presente in sala rispetto a quello presente in streaming, cioè che sta guardando l’evento dallo streaming. Lo spettatore in sala durante un brano e l’altro, rimaniamo sull’esempio del concerto, sente tutta la sala, tutti gli applausi, la gente che batte le mani, che fischia, gli urli, tutto il rumore. Tutto questo suono non viene ripreso e amplificato nella sala, creerebbe solo confusione. Ma chi sta seguendo l’evento in streaming non è immerso in quell’ambiente, non può sentire questo suono. Ecco quindi che si potrebbe dedicare una ripresa sonora del pubblico, o dell’ambiente, della sala in cui ci troviamo, e miscelarlo nell’uscita che viene mandata allo streaming, rendendo quindi molto più coinvolgente la visione dello spettacolo. Possiamo fare velocemente altri tipi di esempio, pensiamo a una batteria che suona dal vivo, magari a un volume sufficiente per il mio piccolo pubblico, e quindi non viene amplificata, o viene molto poco amplificata in sala. Mentre in streaming lo strumento dovrebbe essere molto più presente rispetto al segnale che mando alle casse, proprio perché lo spettatore in streaming non sente la parte acustica della batteria. E per finire, anche i livelli audio variano molto. Mentre in un evento dal vivo posso permettermi dinamiche molto forte, con video emozionali, dove carico molto il suono, se gestisco lo streaming, e quindi potenzialmente la gente lo guarda su un telefono, sulle casse del computer, non posso permettermi questi dislivelli di dinamica così pronunciati. Ecco quindi che abbiamo fatto alcuni esempi di possibili uscite argentive, e ce ne possono essere molte altre. Ma quindi chi gestisce tutta questa complessità? Come abbiamo visto anche un po’ negli esempi, possiamo andare dalla singola persona che con un singolo dispositivo, con un singolo mixer, deve gestire tutto, fino a squadre di svariati tecnici con specializzazioni di compiti differenti, apparecchiature differenti che collaborano e si devono coordinare fra di loro. Ed ecco quindi che abbiamo concluso questa carrellata, questa panoramica di quello che potremmo trovare in un evento dal vivo. Abbiamo individuato i nostri macroelementi. Ed eccoci arrivati in quest’ultima parte, dove parleremo un po’ più approfonditamente del mixer, del banco audio, dove opera effettivamente il fonico, che cosa fa, perché lo fa. Però inizierei quest’ultima parte aprendo una grande immensa parentesi, ovvero la distinzione fra il mondo analogico e il mondo digitale. Ora in questo podcast non entrerò nel dettaglio della differenza fra analogica e digitale, molti di voi probabilmente la conosceranno già, molti di voi la conosceranno molto meglio di me. Diciamo però in maniera estremamente brutale che quando parliamo di analogico, di segnale analogico, parliamo di segnale elettrici. Quindi siamo più nel mondo, passatemi questa cosa, fra virgolette dell’elettronica, un segnale appunto che mime. Che si muove in analogia con la mia grandezza fisica. Mentre nel mondo digitale è sempre un segnale elettrico, ma noi lo trattiamo come una serie di numeri, cioè descriviamo la grandezza che ci interessa con dei numeri. Questo sposta un po’ l’attenzione, cioè sposta il campo di lavoro da quello che può essere il mondo elettronico a quello che può essere un mondo più informatica. Facciamola così, lasciamola così molto molto semplice. Ma quindi perché si fa questa cosa? Beh, porta innumerevoli vantaggi. Lasciamo perdere questioni assolute nel senso è meglio un mondo oppure è meglio un altro, non sarà certo questo il luogo dove risolviamo questa infinita battaglia. Ma diciamo che nel nostro caso porta moltissimi vantaggi, porta anche qualche svantaggio. Ed è per questo che nella realtà, nella pratica, ci troveremo sempre più spesso ad avere a che fare con mixer di tipo digitale. Quindi, chiarita questa cosa, prima di vedere gli effettivi vantaggi che abbiamo da un mixer digitale, facciamo quello che abbiamo fatto fino ad ora, cioè inseriamo questo elemento nella nostra catena audio, cioè dove avviene una conversione fra analogico digitale e poi viceversa, da digitale analogico. Perché una conversione c’è? Un microfono riprenderà sempre un segnale analogico, perché è una membrana che si muove, riceve l’onda sonora. Un altoparlante, alla fine della catena, riceverà anche lui sempre un segnale analogico, perché dovrà vibrare in maniera analoga al segnale che vogliamo riprodurre. Quindi nel mezzo ci sarà una conversione verso e da il digitale. Anche un microfono usb, che possiamo considerarlo un microfono puramente digitale, come al solito non è altro che un oggetto che racchiude più elementi, ovvero un microfono con la sua parte analogica, probabilmente un qualche tipo di preamplificatore, dopo un convertitore analogico digitale e un’interfaccia usb per permettermi di interfacciarsi al computer. Questi tipi di dispositivo ci sono, ce ne sono molti, ma nel mondo live è un po’ difficile trovarli, proprio perché la connessione usb non ha una connessione adatta a coprire le grandi distanze e nel mondo degli spettacoli al vivo le grandi distanze vanno tenute in considerazione. Rimaniamo quindi in una situazione più classica e diciamo che stiamo usando un mixer digitale. Un mixer digitale ha tipicamente alcune connessioni analogiche al suo interno, ciò mi permette di acquisire un certo numero di segnali, ma non sono tutti i segnali che il mixer può gestire. Facciamo un esempio: io ho un mixer che può gestire 32 canali in ingresso, ma solo 8 o solo 16 di questi canali me li ritrovo effettivamente come connessioni analogiche, cioè che hanno il preamplificatore, i convertitori, analogico digitale. In questo caso potrei trasportare le sorgenti che mi arrivano ad esempio dal palco tramite delle fruste audio o una stage box analogica, che sono cioè un raggruppamento di tanti segnali audio fatto tramite un unico cavo al cui interno in verità ci sono tanti conduttori, che quindi mi permettono di trasportare agevolmente diversi canali audio in analogico da un punto a un altro. Però come dicevamo potenzialmente il mixer audio può gestire più di questi canali e quelli che non riescono a gestire con le sue connessioni analogiche interne tipicamente possiamo acquisirli tramite dei convertitori analogico digitali e preamplificatori ovviamente esterni e in questo caso ci sono proprio le stage box digitali. Questi dispositivi hanno al loro interno tutto quello che occorre per fare la conversione analogico digitale e mandare il segnale digitale direttamente al nostro mixer. Il percorso quindi dalla stage box al mixer viene fatto in digitale. Il mixer lo accetta come uno degli altri canali ed elabora al segnale come abbiamo visto prima. Questa cosa può succedere anche il contrario ovvero anche per le uscite quindi io posso avere delle uscite analogiche direttamente sul mixer oppure il mixer può fornirmi tramite delle stage di uscita il segnale audio che dopo manderò agli amplificatori. In alcuni casi addirittura gli amplificatori possono accettare un segnale digitale e quindi se parlano la stessa lingua lo stesso standard posso andare dal mixer all’amplificatore direttamente in digitale senza avere la conversione analogica nel mezzo. Sarà poi un’altra cosa che si può fare con il mixer l’amplificatore a ricreare il segnale analogico da inviare agli speaker. È interessante secondo me capire quali sono le due grosse famiglie di questo mondo digitale. Sto parlando di un mondo sicuramente in evoluzione e ci sono tantissimi standard ma potrebbe essere interessante soprattutto in questo podcast distinguere appunto queste due famiglie quella un po più digitale classica e quella invece nel primo caso cioè quello del segnale digitale più classico perdonatemi questo termine non so come altro definirlo la connessione tra il mio mixer e la mia stage ad esempio può avvenire tramite diversi tipi di cablaggio possono essere cavi ottici cavi quassiali anche cavi di rete ma non si parla in questo caso di rete dati è un segnale definito con degli standard ci sono molti standard diversi che ne determinano il clock la frequenza le tensioni le correnti in gioco e possiamo immaginarlo come una gigantesca trasmissione seriale. Ovviamente per accoppiare vari dispositivi è assolutamente richiesto che tali dispositivi utilizzino lo stesso standard in alcuni casi ci sono addirittura delle schede di espansione dedicate ad ogni standard quindi posso avere nel mio mixer uno slot di espansione e compro una scheda che mi permette di parlare MADI uno standard digitale oppure AES50 oppure ADAT insomma ci sono vari tipi di standard che vengono usati per vari scopi. Per quanto riguarda invece il tipo di trasmissione IP ovvero proprio una trasmissione dati ultimamente negli ultimi anni si stanno affacciando diversi standard ci sono consorti che si stanno sviluppando tanti standard diversi per garantire l’interoperabilità di tutte le apparecchiature ci sono alcuni che potremmo definire quasi degli standard di fatto ovvero sono i più utilizzati e i più comuni da trovare in tutti i dispositivi ma la battaglia è ancora aperta non c’è un unico vincitore definitivo si stanno ancora confrontando e probabilmente si svilupperanno altri tipi di connessioni in futuro o si creeranno delle integrazioni fra questi tipi di connessioni il vantaggio principale di questo tipo di trasmissione è quello di poterlo gestire esattamente come una rete quindi posso farlo passare negli switch posso raggrupparli posso gestirli crea una specie di matrice virtuale all’interno della mia rete dove posso avere più moduli di ingresso più moduli di uscita e creo un’infrastruttura molto molto flessibile facilmente espandibile è completamente gestita da un punto di vista proprio haiti si entra effettivamente nel mondo nel campo dell’aiti e dei sistemi questa cosa si porta anche alcuni svantaggi ad esempio le problematiche della rete con la particolare attenzione perché nell’audio dobbiamo stare attentissimi alle latenze poche decine di millisecondi di ritardo nel ricreare il segnale possono compromettere la riuscita di tutta la mia catena audio quindi ci sono degli switch che lavorano con determinati tipi di protocolli bisogna costruire le reti in un certo modo ci sono anche qua delle certificazioni per l’audio over ip bisogna avere quindi delle competenze specifiche e per poter creare gestire questa infrastruttura di rete se per una configurazione base cioè dove colleghiamo un mixer con una stage box tiriamo un cavo punto punto tutto tendenzialmente funziona senza grossi problemi nel momento in cui creiamo invece molti nodi interfacciamo molteplici dispositivi ecco lì non ci si può più improvvisare e queste sono competenze che iniziano ad allontanarsi dal mondo dell’audio puro e si avvicinano al mondo dei sistemi dell’ait a tutta questa complessità si aggiunge anche poi il mondo del video che anch’esso sta affrontando un’evoluzione che lo porta sempre di più verso il mondo delle rete dati infatti tutto questo mondo lo si trova spesso riassunto con la voce ip over ip cioè audio e video su trasmissioni ip ok detto tutto questo che vantaggi ci dà affrontare tutta questa complessità del mondo digitale come prima cosa però assolutamente non scontata è che in una trasmissione digitale possiamo garantire un trasporto del segnale molto pulito privo di interferenze o meglio non è privo di interferenze ma fintanto che il segnale digitale è perfettamente intellegibile non avrò differenza fra il mio punto di appartenza e il mio punto di arrivo un segnale analogico invece si deteriora nel percorso va trattato con molta cura un altro grosso vantaggio è quello della dimensione e del peso che sembra forse sciocco ma non lo è assolutamente cioè nel mondo analogico ha bisogno di un certo spazio fisico dove far stare la circuiteria ogni canale dispone di una certa circuiteria quindi all’aumentare del numero di canali devo necessariamente aumentare lo spazio a disposizione un mixer a 8 canali sarà fisicamente più piccolo e peserà molto meno di un mixer a 32 48 canali sarà necessariamente più grande con un maggior peso e un maggior costo anche di trasporto e di gestione e non si parla solo del numero di canali un mixer digitale mi permette tutta una serie di elaborazioni del segnale che per farle in analogico avrei bisogno di quello che si dice un outboard cioè un processore esterno analogico specifico per quel tipo di processo è un oggetto che ha un suo peso un suo ingombro un certo costo e occupa un certo spazio nella mia regia ad esempio se voglio avere un compressore sulla voce magari più avanti accenniamo ad alcuni di questi processi nel mondo analogico avrò bisogno effettivamente di un compressore che può trattarmi per un’altra cosa che è un’altra cosa che è un’altra cosa che è pochi canali alcuni processi sono già integrati nei mixer analogici ma sono proprio quelli basilari in tanti altri casi si usavano e si usano tuttora per chi sceglie la strada analogico outboard esterni quindi rack interi a fianco al mixer e chiaramente se lo devo fare per pochi canali uno o due canali è un discorso ma se voglio immaginare di avere un compressore su ognuno dei miei che ne so 32 canali devo avere 32 compressori la faccenda inizia a diventare un po complicata da gestire nel mondo invece ho i compressori in molti casi addirittura posso avere delle simulazioni fatte più o meno bene dei processori analogici perché magari mi piacciono particolarmente quel tipo di processo analogico e col passare degli anni ultimamente è sempre più facile riuscire ad avere un’emulazione digitale dell’effetto che avevo in analogico molto bene e quindi che cosa fa un mixer questo oggetto su cui alla fine abbiamo visto che si concentra quasi tutta l’operatività del nostro tecnico è ovviamente facile raccontare tutto e forse anche poco interessante ma facciamo delle macro categorie di processo alcuni riguardano la dinamica ovvero la differenza fra i suoni più forti e i suoni più bassi e quindi possiamo ridurre questa dinamica possiamo ampiare questa dinamica e tutto con lo scopo di focalizzare l’attenzione sulla parte di suono che ci interessa quindi magari rafforzando le parti basse della voce oppure al contrario riducendo il brusio che invece non vogliamo amplificare solo per fare un esempio ci sono poi interventi che riguardano l’equalizzazione quindi senza entrare nello specifico diciamo i suoni più scuri e suoni più acuti più brillanti e allora anche in questo caso andiamo a rafforzarne alcuni andiamo a eliminarne altri a seconda di quello che ci interessa ci sono poi degli interventi specifici molto tecnici pensiamo ad esempio all’effetto larsen cioè il fischio che quasi sicuramente avete sentito in un evento dal vivo cioè quel fastidioso effetto che si verifica quando il microfono capta se vogliamo in maniera troppo forte il suono che esso stesso amplifica provo a spiegarlo in due parole molto semplicemente io parlo un microfono la mia voce viene amplificata e la voce amplificata però rientra anche nel microfono che a sua volta verrà amplificata che a sua volta rientrerà nel microfono e ci sarà un livello in cui questo loop si autoalimenta generando proprio il fischio perché per ragioni tecniche l’unico modo in cui l’unico modo in cui il fischio può essere amplificato è con l’utilizzo di un dispositivo che si chiama larsen che viene prima su alcune frequenze specifiche ecco quindi che con un intervento particolare sull’equalizzazione vado a cercare di togliere energia in queste frequenze problematiche per cercare di ridurre l’effetto larsen di ridurre la probabilità che questo fischio si inneschi come ad esempio posso equalizzare anche le uscite ovvero la mia diffusione in sala perché l’ambiente ogni sala reagisce in maniera diversa e quindi avrò bisogno di aumentare meglio il mio suono abbiamo poi tutta una serie di effetti se vogliamo più creativi come i riverberi i delay i chorus ovvero ovvero tutta una serie di cose che rendono più piacevole il mio suono o addirittura proprio che le uso in maniera creativa per creare per generare un certo tipo di effetto questo avviene molto di più ovviamente nel musicale rispetto che nella conferenza però sono tutti strumenti che il fonico a disposizione deve saper usare e calibrare all’esigenza e quindi per finire operativamente il nostro tecnico che cosa fa durante l’evento beh lui avrà fatto quasi sicuramente anche le prove prima o se non lo ha fatto avrà una scaletta dovrà interagire con tutte le persone che sono andate sul palco e quindi dovrà seguire di fatto quello che succede nell’evento accendere spegnere i microfoni adattarli a seconda delle esigenze modellare il suono secondo le varie esigenze e seguire in pratica quello che succede sul palco passatemi il paragone come se fosse il cuoco e il cameriere che vi serve il piatto in tavola cioè che prende gli ingredienti grezzi ovvero il prodotto dell’artista sul palco li unisce li plasma li confeziona li miscela per voi e ve li serve al vostro tavolo e oltre a tutta la dimensione tecnica che abbiamo visto finora non sottovalutiamo tutta una dimensione è un aspetto umano soprattutto con quei tecnici che hanno a che fare sempre con persone diverse problematiche diverse ed esigenze diverse sapersi interfacciare con le persone in situazioni che possono essere molto stressanti come quelle degli eventi dal vivo perché non lasciano molto tempo per prendere delle decisioni o per risolvere dei problemi ecco la componente umana nell’affrontare nel cercare di risolvere queste problematiche tutte insieme fa molto secondo me e non è da sottovalutare e proprio per finire in coda non vogliamo spendere le ultime parole per parlare delle evoluzioni future citando addirittura artificiale ecco con queste ultime due parole probabilmente ho già perso la quasi totalità di voi perché effettivamente è un problema sentire a parlare molto spesso a sproposito di questo argomento però volevo lanciarmi in quella che può essere una proiezione futura data dalla mia esperienza e queste sono considerazioni assolutamente personali in questo caso non c’è assolutamente niente di tecnico su quello che potremo aspettarci nei prossimi anni sicuramente l’evoluzione del digitale con la sua capacità di risolvere le problematiche e di risolvere le problematiche di calcolo la farà da padrona e vedremo arrivare o affinare nuovi processi in questa catena non credo si arriverà entro breve a una sostituzione del tecnico alla sua professionalità credo piuttosto che compariranno sempre di più a costi sempre più accessibili strumenti a supporto del suo lavoro magari molto automatici ma che comunque si vanno integrare nel suo flusso di lavoro mi vengono in mente ad esempio gli ultimi algoritmi di pulizia del suono che si possono utilizzare in una situazione in cui si inizia a vedere qualcosa anche nelle situazioni live in cui ovviamente il tempo di elaborazione deve essere estremamente ridotto e se non virtualmente assente come pure vedo sempre più probabile l’ingresso di automatismi di automixing cioè di una gestione semi automatica dei livelli magari in una situazione molto più controllata come può essere quella di una conferenza oppure come ultimo esempio la taratura di un impianto potrebbe trarre molto vantaggio poterla fare anche a chi non ha competenze specifiche sulla terratura degli impianti ma riesce comunque con un sistema automatico a ottenere un buon risultato magari lui si concentra o può concentrarsi su altri aspetti del lavoro e con questo direi che ho finito spero di avervi almeno in parte incuriosito e perché no la prossima volta che assisterete che so a un concerto buttate un occhio al dietro le quinte a tutta la parte tecnica che si cela nascosta normalmente agli occhi del pubblico grazie a tutti voi che siete sopravvissuti grazie mille a valerio che mi ha dato la possibilità di raccontarvi queste piccole cose e continuate a seguire il podcast pensieri in codice grazie a tutti di nuovo e ciao
Conclusione
Grazie mille a te, Alex, per averci fatto capire che dietro la gestione del suono di un evento c’è un intero mondo di tecnologia, di software e di persone al lavoro. E complimenti anche per la chiarezza e l’impegno: so che non è banale produrre 40 minuti di discorso continuo e lineare.
Pensieri in codice, a prima vista, sembra in tutto e per tutto un podcast dedicato all’Informatica.
Scavando un po’ più affondo, però, dovrebbe apparire chiaro che in realtà si tratta di uno spazio nel quale mi piace ragionare insieme a te su come funzionano le cose - e a volte anche le persone.
Il fatto che poi il progetto abbia un taglio informatico, beh, dipende dal fatto che io sono un informatico e quindi il mio modo di pensare si riflette su ogni aspetto della mia vita compreso questo progetto.
Quando dunque Alex si è proposto per un episodio della serie Community Edition - nonostante i suoi dubbi sul fatto che l’argomento non fosse prettamente legato al software - io ho subito pensato che sarebbe stato invece un contenuto interessantissimo da condividere.
E penso di non essermi sbagliato. Tu che dici? Secondo me oggi abbiamo imparato tutti qualcosa di nuovo, me compreso. Ed è questo il senso di questa serie.
Alex - che ripeto - nella vita è responsabile tecnico audiovisivo, mi ha detto che ha intenzione di aprire un proprio progetto divulgativo. Io dico che ci sono tutte le carte in regola, quindi mi sento di incoraggiarlo assolutamente.
Non so quando ciò diverrà realtà, ma se vuoi saperne di più su audio e argomenti tecnici del genere, ti consiglio di unirti al gruppo Telegram di Pensieri in codice, dove - sono sicuro - Alex ci terrà aggiornati sulle novità del suo progetto.
Nel frattempo, veniamo al consueto invito. Come hai sentito, questa nuova rubrica si chiama Pensieri in codice - Community Edition perché è uno spazio pensato apposta per te che fai parte della community del podcast.
Se hai un’idea che ti affascina, un’esperienza interessante da raccontare o semplicemente un argomento legato al mondo dell’Informatica che ti appassiona e che ritieni adatto per questi microfoni, perché non lo condividi?
È un modo fantastico per metterti alla prova e per supportare attivamente il progetto - impiegando il tuo talento - e restituire un po’ del valore che - spero - tu riceva ascoltando Pensieri in codice.
Te lo assicuro, non è complicato e non serve essere un esperto o avere un’attrezzatura professionale. Come dico sempre: è quasi come registrare un vocale e, in ogni caso, ci sarò io a guidarti passo passo.
Quindi, se hai una proposta, puoi contattarmi su Telegram o scrivermi all’indirizzo email valerio@pensieriincodice.it e ne parliamo insieme. Trovi tutti i link sul sito pensieriincodice.it. Io non vedo l’ora di sentire le tue idee!
Prima di salutarci, inoltre, ti rinnovo il mio invito a riflettere sulla filosofia Value4Value su cui si fonda questo progetto.
Ancora una volta, Pensieri in codice è un podcast totalmente indipendente, libero da pubblicità e da tracciamenti, che porto avanti esclusivamente nel mio tempo libero e con le mie risorse personali. E con un po’ di aiuto da parte della community.
Questo vuol dire che, per sopravvivere e continuare a crescere, ha bisogno anche del tuo supporto.
L’idea è semplice: se ascolti tanti episodi, se magari hai imparato qualcosa di nuovo o hai trovato uno spunto interessante, ti chiedo di fermarti un secondo a riflettere: quanto vale per te questo progetto?
Se la risposta è che un valore ce l’ha, allora ti chiedo di valutare, senza nessun obbligo, se restituirne una piccola parte. Puoi farlo nei tre modi che la filosofia Value4Value ci insegna: Time, Talent o Treasure.
Time: puoi dedicare un po’ del tuo tempo per far conoscere Pensieri in codice. Il passaparola è fondamentale: condividi questo - o un altro - episodio con un amico, un collega, o sui tuoi social. Portare nuovi ascoltatori è il primo modo per sostenere tutta la baracca.
Talent: se hai competenze che pensi possano essere utili, mettile a disposizione. Come dico spesso, mi farebbe comodo una mano per aprire e gestire i canali social, ma magari tu sai scrivere, sai fare ricerche, o vuoi proporti per un episodio della Community Edition. Scrivimi e parliamone!
Treasure: infine, puoi scegliere di dare un supporto economico, anche piccolo. È quello che fanno donatori come Edoardo e Carlo, che ringrazio sempre per il loro sostegno mensile. Se vuoi unirti a loro, trovi tutti i modi per farlo (come, ad esempio, Satispay o Revolut) nella sezione Sostieni del sito pensieriincodice.it (con due i, mi raccomando).
Qualsiasi modo sceglierai, il tuo contributo sarà prezioso e apprezzato.
A questo punto, direi che ci siamo detti proprio tutto e ci possiamo salutare, dandoci appuntamento al prossimo episodio e ricordando sempre che un informatico risolve problemi, a volte anche usando il computer.
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