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Episodio del podcast

Multitasking ed effetto Zeigarnik: come sfruttare le interruzioni a proprio vantaggio

25 aprile 2024 Podcast Episodio 128 Stagione 2
Multitasking ed effetto Zeigarnik: come sfruttare le interruzioni a proprio vantaggio

Descrizione

Nella nostra vita le interruzioni sono un problema all’ordine del giorno ma, fortunatamente, esistono vari metodi per contrastarle e addirittura girarle a nostro vantaggio. Nell’episodio di oggi ne parliamo un po’ e approfittiamo dell’argomento anche per imparare come funziona e come sfruttare meglio il nostro cervello.

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Fonti dell'episodio

https://www.pnas.org/doi/abs/10.1073/pnas.1611612115
https://www.stateofmind.it/2018/05/multitasking-abitudine-utile/
https://www.stateofmind.it/multitasking/
https://codeblab.com/wp-content/uploads/2009/12/On-Finished-and-Unfinished-Tasks.pdf
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21688924/

Crediti

Sound design - Alex Raccuglia
Voce intro - Maria Chiara Virgili
Voce intro - Spad
Musiche - Kubbi - Up In My Jam, Light-foot - Moldy Lotion, Creativity, Old time memories
Suoni - Zapsplat.com
Cover e trascrizione - Francesco Zubani

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Quello che segue è lo script originale dell'episodio.

Introduzione

Quante volte ci capita di sentirci stanchi, in ansia e provare la sensazione, da un lato, di aver perso tempo e, dall’altro, di avere mille cose in sospeso da fare?

Eppure noi ci impegniamo tanto, portiamo a termine sempre tante attività e ci prodighiamo anche per gli altri. Com’è possibile che nonostante tutto ciò ci sentiamo così?

Oggi parliamo di alcuni fattori della vita quotidiana che contribuiscono a farci essere meno produttivi e più stressati, di come mitigarne gli effetti e, addirittura, di come sfruttarne i meccanismi a nostro vantaggio.

Sigla!

Il problema delle interruzioni (e del multitasking)

Oggi come oggi, le continue interruzioni al flusso dei nostri pensieri sono la pura normalità. Personalmente, non credo di conoscere qualcuno che possa legittimamente affermare di esserne totalmente esente.

Il nostro stile di vita e tutta la tecnologia di cui disponiamo ci hanno avvicinati fra noi, hanno reso le comunicazioni più veloci ed efficienti, l’accesso alle informazioni più immediato, ma hanno anche moltiplicato enormemente le possibilità di ciascuno di essere raggiunto praticamente in ogni luogo ed in ogni momento del giorno e della notte.

I nostri smartphone ci tempestano in continuazione di notifiche: messaggi, email, social network, applicazioni varie. E poi riceviamo chiamate al telefono, o richieste a voce, domande e sollecitazioni varie da parte delle persone che ci stanno intorno: a casa i familiari, al lavoro i colleghi, e così via.

Questa condizione è diventata ormai così normale e accettata che molti non si fanno più problemi nemmeno a scrivere o chiamare durante l’orario della pausa pranzo, della cena o a tarda sera e nei giorni festivi. Per ora possiamo definirci fortunati se almeno le ora notturne vengono ancora rispettate. Per ora.

Il punto, però, è che, se non facciamo qualcosa per ovviare a questo problema, possiamo potenzialmente essere continuamente interrotti in quello che stiamo facendo. Mentre lavoriamo, in vacanza, quando siamo per strada, a tavola, davanti alla tv, leggendo un libro: praticamente sempre.

Col tempo ci siamo abituati a questo status quo e ci prodighiamo ogni giorno per farvi fronte alla meglio, spostando continuamente la nostra attenzione tra l’attività che stiamo svolgendo (per dovere o per piacere) e l’interruzione di turno, sia essa digitale o analogica.

Questo tipo di impostazione del proprio lavoro o di gestione del proprio tempo in generale viene comunemente chiamato multitasking. Il nome è mutuato dall’attività, tipica dei sistemi informatici, di eseguire più compiti per volta spostando continuamente la potenza di calcolo tra di essi in maniera ciclica e dando così la sensazione che essi siano svolti contemporaneamente.

A poco a poco, negli ultimi anni, ci siamo un po’ tutti convinti che il multitasking sia la risposta naturale al problema delle interruzioni e abbiamo iniziato a svolgere più compiti in contemporanea dedicando pochi minuti o, addirittura, pochi secondi a ciascuno di essi a rotazione.

E così, mentre scriviamo un documento, riceviamo una mail e ci prendiamo 5 minuti per rispondere, poi dedichiamo altri 3 minuti al documento finché non arriva un messaggio al quale servono 30 secondi per rispondere, poi altri 2 minuti al documento e così via.

Peccato che il cervello umano, a differenza di un microprocessore, non sia progettato per funzionare in modalità multitasking. Su di noi, le interruzioni hanno un impatto negativo enorme rispetto ad un computer perché in milioni di anni noi ci siamo evoluti per svolgere fondamentalmente un compito per volta.

Benché sul momento ci possa sembrare di stare conseguendo chissà quali risultati, la realtà è che attuare il multitasking, non solo non ci permette di rendere meglio di come faremmo se svolgessimo le stesse attività affrontandole una alla volta, ma ci porta ad subire anche tutta una serie di svantaggi.

Innanzitutto, in multitasking non performiamo meglio perché, nel passare da un’attività all’altra, entra in gioco una operazione che, sempre mutuata dall’informatica, prende il nome di context switching e consiste nell’azione di abbandonare tutti i pensieri e i ragionamenti che attualmente si stanno elaborando per prendere in considerazione quelli necessari per un’altra attività.

Quando, infatti, ci dedichiamo a un qualche compito, sopratutto se non è qualcosa di già fatto centinaia di volte e per cui abbiamo sviluppato un automatismo, dobbiamo tenere a mente tutta una serie di informazioni: obiettivi, prossimi passi, idee, elucubrazioni, ecc.

E ogni volta che passiamo da un compito all’altro, tutte queste informazioni vanno rimpiazzate con altre inerenti il nuovo compito al quale vogliamo dedicare attenzione. Dobbiamo anche noi, proprio come un microprocessore, attuare l’operazione di context switching.

Ora, vari studi (te ne lascio qualcuno in descrizione) indicano che per attuare efficacemente questo spostamento di informazioni occorrono, in media, dai 10 ai 15 minuti, a seconda della complessità di ciò che si sta facendo.

Per questo motivo, aumentando le operazioni di context switching, finiamo con lo sprecare tempo e risorse mentali che potrebbero invece essere risparmiate e reimpiegate meglio, se mantenessimo la concentrazione fissa su un’attività finché non la completiamo.

In secondo luogo, poi, il multitasking potrebbe perfino avere effetti negativi sulla nostra salute mentale se ne facciamo uso eccessivo. Anche su questo argomento ti lascio alcuni link in descrizione.

Ad esempio, è stato appurato come in alcuni soggetti, il multitasking massiccio, porti ad un calo della capacità di concentrazione e di attenzione; oppure ad una forte riduzione della memoria e della capacità di tenere a mente le cose da fare.

Infine, l’uso del multitasking può essere anche causa di produzione in eccesso di cortisolo, che ingenera stress, può aumentare l’ansia e può perfino incrementare il rischio di depressione. E questo spiega anche perché spesso, se lavoriamo sempre in multitasking potremmo provare quel perenne senso di insoddisfazione.

A onor del vero, però, prima di passare al prossimo blocco, ci tengo a fare un paio di precisazioni su questo discorso.

La prima è che io sto parlando di multitasking cognitivo, non di multitasking combinato cognitivo e motorio.

In parole semplici, mi riferisco al fatto di svolgere più attività contemporaneamente che richiedano tutte una certa dose di concentrazione mentale, non al fare attività fisica mentre si ragiona su qualcosa; un’attività fisica e contemporaneamente di riflessione è, in realtà, qualcosa di sano e assolutamente consigliato.

Ti lascio in descrizione il link al libro L’arte di correre di Haruki Murakami che racconta un bel esempio di multitasking combinato efficace. Molto Zen.

E la seconda precisazione, invece, riguarda il fatto che, durante le mie ricerche, ho trovato alcuni studi che indicano, nei più giovani, effetti positivi del multitasking sul rendimento scolastico.

Solo che non mi è chiaro come è stato valutato il concetto di positivo perché, da quello che ho capito, i soggetti che praticano multitasking massiccio (in campo multimediale, quindi ad esempio giocando ai videogame e guardando video) ottengono risultati scolastici migliori in presenza di elementi distrattori rispetto a quando tali distrattori sono assenti.

E quello che non ho capito è in che senso aver bisogno di distrattori per rendere meglio si possa considerare positivo. Se tu che ascolti ne capisci più di me ci terrei a sentire la tua opinione. Trovi anche questo articolo in descrizione.

L’effetto Zeigarnik

A contribuire all’inefficienza causata da un’attività di context switching continuo, ci si mette poi anche una caratteristica intrinseca del nostro cervello che riguarda la naturale difficoltà di ignorare le faccende in sospeso.

Si tratta di quello stesso fenomeno per il quale ci risulta fastidioso interrompere le nostre attività senza essere giunti alla conclusione e per cui poi fatichiamo a togliercele dalla mente.

Quante volte ci capita di lasciare qualcosa in sospeso e, nei primi minuti, provare quella punta di ansia, e poi ritrovarci a ripensare continuamente a quel qualcosa mentre stiamo facendo altro nel corso delle ore o addirittura dei giorni successivi?

Non importa quale sia l’attività non completata: potrebbe trattarsi una serie TV o di un libro, di un lavoretto in casa, di un documento, persino di un oggetto lasciato fuori posto o di una macchia da pulire.

Vale persino in caso di fenomeni molto più complicati come i rapporti interpersonali: avere una questione in sospeso con qualcuno e non averne potuto chiarire determinati aspetti per un qualsiasi motivo, genera quello stesso senso di ansia e fastidio. Magari solo con intensità diversa.

Beh, questo fenomeno, qualsiasi sia la forma in cui si manifesta, prende il nome di Effetto Zeigarnik, dal nome della studiosa che lo osservò per prima nel 1920.

La leggenda narra che la psicologa russa Bluma Zeignarnik ebbe l’intuizione mentre si trovava a cena al ristorante.

Mentre attendeva le proprie portate, la Zeigarnik assistette alle solite scene da locale di ristorazione: camerieri che vanno avanti e indietro, prendono le ordinazioni, portano piatti, ricevono continue richieste, ecc.

La studiosa, però, rimase impressionata da come i camerieri, pur correndo su e giù fra i tavoli, riuscissero a tenere a mente ordini anche molto complicati senza prenderne nota e senza sbagliare un colpo.

Al tempo stesso, poi, ella notò pure che, dopo che i clienti pagavano il conto, tutta questa abilità mnemonica svaniva quasi istantaneamente e degli ordini effettuati qualche ora, o addirittura qualche minuto prima, non restava alcuna traccia.

Da questa osservazione nacque poi lo studio ON FINISHED AND UNFINISHED TASKS, a firma, appunto, della Zeigarnik. Studio grazie al quale la dottoressa dimostrò l’esistenza di quello che, proprio a partire dal suo nome, fu definito effetto Zeigarnik .

L’idea di base utilizzata per portare avanti la ricerca è ben illustrata in un passaggio del documento stesso che recita:

Qual è la relazione tra lo stato della memoria di un’attività che è stata interrotta prima che potesse essere completata e di una che non è stata interrotta? Sospettiamo che una quasi-necessità non soddisfatta probabilmente influisca anche sulla conservazione puramente memoriale.

Ti lascio in descrizione il link al documento per approfondire, ma il succo della ricerca è che ad una serie di soggetti furono assegnate delle attività da svolgere, e di queste la metà furono poi interrotte senza possibilità di essere completate.

I risultati ottenuti fecero emergere che i soggetti coinvolti ricordavano con maggiore precisione i dettagli dei compiti interrotti rispetto a quelli completati. Secondo gli esperimenti dei ricercatori, infatti, sospendendo un compito prima della fine, le informazioni che i partecipanti erano in grado di riportare aumentavano di una quantità tra il 90 e il 110%.

In pratica, quindi, l’effetto Zeigarnik si riferisce alla tendenza del nostro cervello a ricordare i dettagli delle attività sospese o interrotte e a dimenticare invece quelli riguardanti le attività completate, liberando così la mente da informazioni non più immediatamente necessarie.

Questa caratteristica del cervello, da un lato, può risultare davvero utile in quanto è un’ottima cosa avere ben chiare in mente tutte le informazioni riguardanti ciò che dobbiamo fare ed è anche positivo sentire l’impulso di voler finire ciò che abbiamo iniziato. Tuttavia, per contro, può anche trasformarsi in un ostacolo per la nostra produttività e la per la nostra serenità.

In primo luogo, infatti, a causa dell’effetto Zeigarnik, ogni compito non completato rimane ad occupare un po’ della nostra attenzione, frammentandola e rendendo così più complicato per noi concentrarci sul lavoro attualmente in corso.

Ad esempio, un altro studio, che trovi sempre in descrizione, ha rilevato che le persone interrotte durante un’attività ottengono risultati peggiori nell’attività successiva rispetto a coloro ai quali è permesso di completare il primo compito prima di passare al secondo.

Oltre a ciò, un’altra conseguenza negativa dell’effetto Zeigarnik è che, anche se stacchiamo fisicamente dal lavoro, spesso le nostre attività incompiute ci seguono a casa, a cena, in vacanza, nei fine settimana e perfino durante il sonno.

L’effetto Zeigarnik, infatti, fa in modo che il pensiero torni continuamente a ciò che abbiamo lasciato in sospeso e nei momenti di riposo il cervello è più vulnerabile a questa sorta invasione.

Il risultato è una continua ansia che per tanti di noi si manifesta, ad esempio, con quella sgradevole sensazione di trascorrere la domenica a pensare a ciò che dovremo fare il lunedì successivo.

Contrastare interruzioni e multitasking

Purtroppo viviamo in un mondo complesso: sia nel lavoro che nella vita privata non possiamo smettere di svolgere determinate attività in un certo lasso di tempo (banalmente: dobbiamo lavorare tutti, no?); però possiamo adoperarci per contrastare almeno le abitudini malsane e non indispensabili, come, guarda un po’, le interruzioni e il multitasking.

Un primo, ad esempio, potrebbe essere quello di fare un utilizzo più consapevole della tecnologia e, in questo senso, potremmo cominciare con il configurare al meglio i nostri sistemi di notifica.

Conosco tante persone che ricevono tantissime notifiche ogni giorno: il loro approccio, solitamente, è quello di dare una rapida occhiata allo smartphone o allo smartwatch e valutare al volo, magari dal mittente, se si tratta di qualcosa di urgente o che possono ignorare.

Forse fai anche tu così, non lo so. Io lo facevo certamente fino a qualche anno fa.

Beh, sorpresa sorpresa, sappi che quella breve interruzione per valutare la notifica è anch’essa un context switch. Magari uno molto veloce, sempre che non si decida di rispondere o leggere il resto del messaggio, ma sempre di context switching si tratta e, come tale, distrae e consuma risorse mentali, portando maggiore stress e meno efficienza.

Il fatto che spesso dimentichiamo, però, è che i sistemi di notifica sono ampiamente configurabili e ci permettono di impostare filtri anche molto granulari, ad esempio in base al mittente o all’applicazione o al fatto che si tratti di conversazioni di gruppo o singole, e così via.

Quello che voglio dire è che, invece di sprecare quei 5 secondi per ciascuna notifica, che nell’arco della giornata possono diventare minuti, e invece di subire decine o a volte centinaia di interruzioni, abbiamo semplicemente la possibilità di farci fare una scrematura automatica a monte.

Io lo faccio ormai da qualche anno e ti assicuro che i benefici sono enormi.

Smartphone e computer o addirittura singole app e siti, permettono già di fare una buona cernita, si tratta solo di riflettere un attimo su quali fonti ci portano informazioni urgenti e quali no e di dedicare poi un po’ di tempo a configurare i vari sistemi in modo che ci interrompano solo se necessario.

Poi sarà nostra cura controllare, magari una o due volte al giorno o anche di più, tutti gli aggiornamenti meno urgenti che non ci sono stati segnalati direttamente e sono rimasti lì ad aspettarci.

So che potrebbe sembrare un comportamento strano a chi è abituato a verificare e rispondere a tutto subito ma non tutto è urgente e si tratta di una scelta importante per la nostra serenità: In pratica, si tratta di frapporre un filtro che ci schermi dalla maggior parte del rumore di fondo nel momento in cui siamo impegnati in qualcosa.

Provaci e vedrai che questa semplice contromisura ti aiuterà tanto ad alleviare lo stress ed aumentare la concentrazione. Magari non riuscirai a tirare su un sistema perfetto ma almeno migliorerai la tua situazione e godrai dei benefici.

Una volta indirizzato il problema digitale, però, resta comunque poi quello analogico: le distrazioni non sono solo notifiche ma anche effetto di azioni di chi ci è accanto. Il collega, il cliente, l’amico, ecc. sono tutte persone che ci orbitano intorno e volenti o nolenti possono interromperci in quello che stiamo facendo.

Se una persona ci si avvicina per dirci o chiederci qualcosa mentre stiamo lavorando o studiando, non possiamo certo applicargli un filtro automatico o ignorarla finché non siamo pronti a risponderle, ma possiamo fare una cosa simile che, anche se inizialmente può sembrarci assurda, piano piano può diventare una sana normalità: possiamo chiederle se la sua necessità è urgente.

So che per tantissimi è una cosa folle, ma utilizzare frasi del tipo scusami, è una cosa urgente o ne possiamo parlare tra mezz’ora? è in realtà perfettamente lecito, non è offensivo, e, come ho poi scoperto col tempo, è anche apprezzato da molti.

Non si tratta di un atteggiamento scostante e non si tratta di ignorare le necessità altrui. Si tratta semplicemente di chiedere educatamente tempo per completare ciò che si sta facendo, prima di dedicarsi (potenzialmente con molta più attenzione) al problema dell’altra persona.

Iniziare a comportarsi in questo modo porta tutta una serie di vantaggi per entrambi i soggetti coinvolti. Tu prova e fammi sapere.

In primis, tu avrai la possibilità di evitare un context switch e di completare ciò che stai facendo senza aggiungere stress o ansia inutili. Potrai valutare bene quanto tempo dedicare ancora all’attività in corso e scegliere quando interromperla (sempre che non ti riesca tranquillamente di finirla in un tempo ragionevole).

E poi, darai all’altra persona la sensazione che, a breve, le dedicherai la tua completa attenzione e una porzione ben definita del tuo tempo, e non solo quei 3 minuti al volo con la testa che torna continuamente all’attività che hai interrotto.

Contrastare effetto Zeigarnik

Tornando ora all’effetto Zeigarnik e, partendo dal presupposto che avremo sempre delle cose da fare, ci tocca escogitare un modo per trovare un sollievo nel caso in cui siamo proprio costretti ad interrompere un compito e per anche poter staccare mentalmente quando non siamo più al lavoro.

In effetti, ci sono varie contromisure che possiamo mettere in campo per evitare, o almeno, mitigare le conseguenze negative di questa particolare propensione del nostro cervello e già lo studio originale evidenziava che avere un buon sistema di organizzazione del tempo e delle attività aiuta molto nel dare sollievo dallo stress causato dall’effetto Zeigarnik.

Il trucco è mettere su un sistema per annotare le attività e i relativi dettagli che sia rapido e semplice da usare in modo da richiedere poche energie cognitive e permettere, al contempo, un context switch quanto più efficiente possibile.

In questo modo tutte le attività in sospeso verranno in un certo qual modo scaricate sul sistema esterno di pianificazione e la nostra mente sarà più libera di lasciarle andare totalmente, liberando risorse da dedicare all’attività in corso.

Il cervello, infatti, sapendo di poter recuperare facilmente e al momento giusto tutte le informazioni di cui avrà bisogno, non percepirà più il rischio di perderle e ciò placherà quell’impulso di doverle tenere continuamente a mente.

Quello delle annotazioni è anche un buon modo per non farci occupare la testa fuori dall’orario di lavoro: basterà, infatti, appuntare subito il messaggio del collega o la chiamata del capo o l’idea che ci è venuta in mente per risolvere il tal problema e potremo rimandare il tutto al primo momento lavorativo utile.

Una volta implementato un efficiente sistema di organizzazione del tempo, poi il passo successivo è quello di rivedere e riorganizzare la lista delle attività regolarmente. Magari una volta al giorno per le cose più urgenti e una a settimana per la pianificazione più generale.

Avere infatti una visione d’insieme su ciò che abbiamo fatto e su ciò che abbiamo da fare durante il giorno e magari anche nei giorni a seguire, aiuta a placare l’ansia dovuta all’incertezza e a smorzare quella sensazione di sospeso.

Inoltre, una buona pianificazione distribuisce meglio il carico di lavoro, che non fa mai male, e funge da riassunto delle attività svolte nel corso degli ultimi giorni o settimane, evitando quel senso di delusione che ci prende quando domande come ma che ho fatto oggi?, in cosa ho speso la mia giornata o la scorsa settimana? restano senza risposta.

Nel corso degli ultimi anni io ho sviluppato una strategia di pianificazione del tutto personale e cucita sulle mie esigenze ma tu potresti iniziare col provare una strategia classica come la GTD o l’utilizzo di un software come Todoist per il quale ti lascio in descrizione una guida e il link affiliato per la registrazione.

Per concludere il discorso, è anche molto d’aiuto stabilire alcuni rituali giornalieri che spezzino la concentrazione e permettano di fare un passo indietro e osservare come stanno andando le cose da un punto di vista più ampio.

Uno o due momenti della giornata, magari mentre facciamo pausa per bere un tè, un caffè o banalmente guardare un panorama dalla finestra, nei quali lasciamo vagare la mente, possono aiutarci a calmare lo stress e ripulire il cervello da faccende in sospeso (a patto sempre di averle appuntate in modo da non dimenticarci poi di svolgerle).

Questi sono anche momenti buoni per ripensare a ciò che abbiamo fatto nelle ore precedenti: una cosa che, nella vita attuale così frenetica, spesso dimentichiamo di fare è godere delle piccole vittorie ottenute, prima di indirizzare l’attenzione alle cose ancora da fare.

Più di tutto, è importante avere un rituale di chiusura della giornata lavorativa, come sistemare e pulire la scrivania, o chiudere tutti i programmi aperti e, tanto per cambiare, annotare le attività non terminate. Queste azioni aiuteranno a separare il momento del lavoro da quello personale e ad evitare di trascinarsi per tutta la serata pensieri e preoccupazioni lavorative.

So che, se non lo hai mai provato, ti potrà sembrare tutto molto teorico e tutto molto Zen, ma ti assicuro che, almeno nel mio caso, tutto ciò che ti ho descritto è stato un ottimo modo per migliorarmi la vita.

Sfruttare l’effetto Zeigarnik

In ultimo, dal momento che, da come abbiamo visto, il nostro cervello trova fastidiose le situazioni ambigue o in sospeso, noi possiamo anche farci furbi e provare a sfruttare l’effetto Zeigarnik a nostro vantaggio.

In tal senso, quello che in realtà dobbiamo fare per capovolgere gli effetti negativi dovuti alle interruzioni involontarie è semplicemente creare appositamente delle situazioni di sospeso volontarie.

L’idea è quella di istigare la mente ad inseguire un determinato obiettivo distogliendola di tanto in tanto da esso facendo così in modo che, a causa appunto dell’effetto Zeigarnik, al ritorno essa sia ancora più smaniosa di continuare il proprio lavoro.

Si tratta esattamente del principio su cui si basano, ad esempio, le tecniche di compartimentazione del tempo, cioè quelle tecniche che consistono nell’inserire interruzioni artificiali nel flusso di lavoro.

Sarà capitato anche a te di impegnarti in un’attività di concentrazione, di procedere in modo spedito, e poi ad un tratto di perdere interesse, sentire la fatica, interrompere e non riuscire più a riprendere. Un momento prima sei lì che procedi a tutta forza e un momento dopo sopraggiunge stanchezza e distrazione.

La fase iniziale di questo processo, quella produttiva, è chiamata di concentrazione profonda (in inglese state of flow) ed è quella nella quale solitamente tutti noi otteniamo i risultati migliori. Tuttavia, essa si esaurisce dopo un certo periodo di tempo, che può durare più o meno a seconda della persona, e difficilmente si presenta più di un paio di volte al giorno.

Con le tecniche di compartimentazione del tempo, si sfrutta l’effetto Zeigarnik per aumentare artificialmente la durata di questo periodo di concentrazione, inserendo proprio delle pause forzate (spesso dettate da un timer perché durante lo state of flow non non si ha una buona percezione del tempo che passa).

In questo modo, il cervello, interrotto mentre sta svolgendo un’attività, resta vigile e concentrato sull’obiettivo per tutta la durata della pausa (che solitamente ammonta a 3 o 4 minuti) e quando ritorna sul problema è ancora più smanioso di portare a termine il suo compito.

Un esempio piuttosto conosciuto di questa strategia è la cosiddetta Tecnica del pomodoro di cui abbiamo già parlato qui su Pensieri in codice un bel po’ di puntate fa. Ti lascio anche questo link in descrizione nel caso tu voglia recuperare l’episodio ed avere un punto di partenza per provare la tecnica.

Come già ti dissi all’epoca, io la trovo veramente utile per svolgere determinate attività come lo sviluppo di codice o lo studio ma, a seconda dei casi, puoi impiegarla per tanti scopi diversi: devi solo trovare quelli più adatti alle tue necessità.

Infine, dato che la concentrazione profonda non si presenta spesso durante la giornata, e anzi, in certi momenti facciamo molta fatica anche solo a deciderci ad iniziare un’attività, possiamo sfruttare l’effetto Zeigarnik anche per forzarci ad entrare nello state of flow.

Ad esempio, quando ci sentiamo scoraggiati e non vogliamo iniziare un lavoro perché tanto sappiamo che non lo finiremo in tempo o siamo troppo stanchi per farlo ora o qualsiasi altra scusa, potremmo ricorrere alla tecnica dei 5 secondi per attivare la concentrazione profonda.

La cosa funziona più o meno in questo modo: anche se ne hai voglia, prova a costringerti ad adoperarti al tuo compito per almeno 5 secondi.

Se si tratta di scrivere un documento, ad esempio, aprilo e leggi l’ultimo paragrafo che hai scritto la volta precedente. Se si tratta di codice, riporta a video la funzione che manca o le ultime righe lasciate in sospeso.

Se invece parliamo di un lavoro più manuale, inizia a disporre gli strumenti. Perfino se il compito è semplicemente passare l’aspirapolvere, inserisci la spina e avvia il motore. E ora, se proprio non vuoi proseguire, rimetti tutto a posto, o chiudi il file e rinuncia. Nessun problema.

In verità, però, il più delle volte vedrai come l’effetto Zeigarnik farà in modo che il tuo cervello non voglia più interrompere ciò che hai iniziato e ti darà la spinta necessaria per svolgere la tua attività almeno per un altro po’ di tempo.

La durata di questo stato di concentrazione profonda indotta dipenderà ovviamente da quante energie ti restano effettivamente ma, in ogni caso, ti permetterà di fare un po’ di più rispetto a quanto avresti fatto se avessi rimandato e basta.

Conclusione

E anche per oggi l’episodio termina qui. Se l’argomento è stato di tuo interesse, non dimenticare di condividerlo sui tuoi social o, meglio ancora, ai tuoi colleghi ed amici. Se invece ti ha fatto schifo, condividilo con i tuoi nemici. Va bene lo stesso.

Io intanto ti ringrazio per aver ascoltato e ringrazio i sostenitori abituali (Edoardo e Carlo) per la loro donazione mensile.

E oggi un ringraziamento speciale va anche a Francesco Zubani il quale ha fatto un lavorone realizzando le locandine e le trascrizioni per tutti gli episodi di Pensieri in codice utilizzando vari modelli di machine learning: stable diffusion, mistral e whisper. Considerando che parliamo di quasi 130 episodi, il ringraziamento è veramente tanto tanto sentito.

E tu che ascolti, mi raccomando scorri il feed o visita il sito pensieriincodice.it per guardare tutte le nuove locandine e facci sapere cosa ne pensi.

Ti ricordo che sul sito trovi anche tutte le informazioni su come supportare il podcast, come ricevere i gadget, come abbonarti al nuovo feed gratuito senza pubblicità, come scrivermi, come unirti al gruppo telegram, ecc. In somma: un sacco di cose interessanti.

Detto questo, non mi resta che salutarti, darti appuntamento al prossimo episodio ma senza mai dimenticare che un informatico risolve problemi, a volte anche usando il computer.


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