Descrizione
Oggi ti racconto di qualcosa che ho scoperto e che mi sta entusiasmando molto. Si tratta di un metodo di organizzazione della conoscenza personale chiamato Second brain.
Pensieri in codice
Sostenitori di oggi:
Edoardo Secco, Carlo Tomas
Attrezzatura utilizzata:
Shure Microfono Podcast USB MV7
Neewer NW-5 Pannello fonoassorbente
Fonti:
Tiago Forte - Il tuo secondo cervello
https://www.semanticscholar.org/paper/Information-Overload%3A-An-Introduction-Bawden-Robinson/767f6c9c97390c1dc486c279dcca0cbb7c818005
https://www.gitbar.it/
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Crediti
Sound design - Alex RaccugliaVoce intro - Maria Chiara Virgili
Voce intro - Spad
Musiche - Kubbi - Up In My Jam, Light-foot - Moldy Lotion, Creativity, Old time memories
Suoni - Zapsplat.com
Cover e trascrizione - Francesco Zubani
Mostra testo dell'episodio
Quello che segue è lo script originale dell'episodio.
Intro
3 nuove newsletter nella casella email, 15 nuovi articoli nel feed rss, 8 video su youtube, 4 episodi nell’app di podcast, 3 riunioni al lavoro, una decina di email, un paio di link condivisi da amici, un paio di notizie interessanti al TG, i consigli di un amico esperto nel nostro nuovo hobby… [dissolvenza in uscita]
Quante informazioni ci bombardano ogni giorno! Di’ la verità: anche tu qualche volta hai pensato che servirebbe proprio un secondo cervello.
Open Source Day 2023
Prima di iniziare con l’episodio di oggi, c’è un piccolo ma importante annuncio: quest’anno Pensieri in codice è Community Partner dell’Open Source Day 2023, la conferenza organizzata dalla community Schrödinger Hat.
I ragazzi di Schrödinger Hat si dedicano proprio a promuovere l’Open Source e lo sviluppo software: hanno un podcast, un canale YouTube ed una community molto attiva su Discord.
La conferenza si svolgerà il 24 marzo a Firenze e sarà una gran bella occasione per ascoltare persone interessanti parlare di sviluppo e problematiche inerenti il mondo dell’Open Source.
Se ti va, poi, sarà anche un bel momento per incontrarci e conoscerci, visto che a Firenze il giorno 24 ci sarò anche io e vari altri podcaster che fanno divulgazione nel campo dell’Informatica.
Il biglietto è gratuito ma va prenotato, quindi ti lascio in descrizione il link al sito della conferenza.
Dopo che ti sarai iscritto o iscritta, se ti va, scrivimi una mail o su telegram così magari ne approfittiamo per incontrarci li e fare gruppo. Trovi tutti i miei contatti sul sito pensieriincodice.it
Il problema
Tornando all’argomento di oggi, se sei sul canale Telegram di Pensieri in codice, saprai che sono mesi che mi lamento del fatto che non riesco a trovare il tempo per fare tutto quello che vorrei. Il lavoro, gli impegni, gli imprevisti: è un continuo, servirebbero giornate di 48 ore.
Ti sarai anche reso o resa conto che questa mia situazione sta influendo parecchio soprattutto sulle uscite di Pensieri in codice che si è fermato per un po’ e ora stenta a ripartire in maniera regolare.
Beh forse mi sono imbattuto in qualcosa che potrebbe essere d’aiuto per migliorare questa situazione. E non solo per il podcast, ma anche per la qualità della vita in generale.
E siccome credo di non essere l’unico ad avere questo tipo di problemi, a sentirsi un po’ sopraffatto dalla mole di informazioni che arriva ogni giorno, ho deciso di condividere con te la mia scoperta e questa prima fase del percorso. Sperando che sia effettivamente efficace quanto sembra.
Se qualche volta ti è capitato di sentirti come me negli ultimi mesi, beh, chissà che quanto sto per dirti non possa tornare utile anche a te.
La situazione
Iniziamo con un po’ di contesto, giusto per farti capire qual è stato il mio punto di partenza, la situazione da cui ha preso piede il cambiamento che sto attuando.
Lavorando come consulente freelance, libero professionista, e volendo svolgere anche tutta una serie di attività extra lavorative come lo studio, la produzione del podcast, vari hobby e faccende personali, ecc., già da tempo ho già adottato, affinato e personalizzato un mio sistema di pianificazione del tempo.
È, infatti, dal 2015 che gestisco tutte le mie attività attraverso un app, Todoist, della quale ho già parlato in un vecchio episodio, e nella quale implemento un mix di varie tecniche che considero il più adatto alla mia situazione attuale.
Questo sistema di pianificazione si è evoluto nel tempo, partendo dal classico GTD, integrando la tecnica del pomodoro, passando per il time-blocking, e giungendo a diventare un mio metodo, che non ha un nome, non è nessuno dei precedenti, ma una commistione di essi e mi permette di essere il più efficiente ed organizzato possibile, secondo i miei standard.
O almeno così credevo.
La verità è che più mi rendevo conto di aumentare la mia efficienza utilizzando tecniche, app o quant’altro, più cresceva anche la mia voglia di aggiungere altre attività alla lista di cose da fare. Credo che sia normale.
È stato grazie a questo sistema che ho potuto avviare un podcast in parallelo alla mia attività di consulente a partita iva.
È stato sempre grazie ad esso che ho potuto gestire vari incarichi in contemporanea senza dover fare le nottate.
E nel frattempo aumentavo il numero di libri che riuscivo a leggere, i contenuti online che consumavo, ho persino iniziato a coltivare piante carnivore, tanto per dirne una.
Tutte attività, queste, che 6 o 7 anni fa non avrei mai creduto di poter fare, oberato dal lavoro e dagli impegno come ero allora.
In pratica, ottimizzando la gestione del tempo, si è creato una sorta di spazio che mi ha permesso di inserire altre attività. Non solo quelle che DOVEVO svolgere, ma anche quelle che VOLEVO svolgere: hobby, cose divertenti, studio e forse la cosa più importante, ho potuto serenamente trascorrere molto più tempo con le persone a cui tengo.
Ora l’ho descritto velocemente, ma questo processo è durato qualche anno, seguendo una curva di miglioramento più o meno costante, ottimizzando la pianificazione e riducendo al minimo gli sprechi di tempo.
E poi?
E poi, ad un certo punto, mi sono reso conto che avevo raggiunto il mio limite. Anzi, per buona parte dello scorso anno, l’ho anche abbondantemente superato, infatti ad un certo punto non ho più potuto tenere il passo.
Ho scoperto che posso rifinire e ottimizzare quanto voglio la pianificazione delle mie giornate, ma la dura verità è che devo fare anche i conti con le mie energie, sopratutto quelle mentali.
Il fatto di avere riservato il giusto tempo per svolgere una serie di compiti, non vuol dire che la mia mente sia sempre in grado di mantenere il giusto livello di concentrazione per tutta la durata della giornata o addirittura della settimana.
Accadeva così che già al giovedì mi sentissi mentalmente esausto e non riuscissi a tenere fede alla pianificazione settimanale. O a fine giornata mi rifiutassi di svolgere le stesse attività che avevo immaginato al mattino. E non per mancanza di tempo, semplicemente per stanchezza.
E dunque, escluse le sfere lavorativa e familiare, alle quali ho dato la precedenza per ovvi motivi, ho dovuto rinunciare ad un bel po’ cose: ho accumulato letture, podcast e video che solo ora sto iniziando a smaltire; così come ho dovuto interrompere Pensieri in codice, il quale è ripartito solo da poco.
Sto faticosamente riprendendo il ritmo e, da un lato, non ho alcuna intenzione di finire in burnout come nel mese di ottobre dello scorso anno, ma dall’altro non voglio rinunciare ai miei hobby e a questo progetto di divulgazione o, men che meno, agli impegni che ho preso.
Quindi, venendo al punto, ciò che sta rendendo possibile questa ripresa, e che spero mi aiuti sempre di più nel prossimo futuro, è il fatto ho scoperto un nuovo aspetto della mia vita organizzativa che potevo effettivamente migliorare.
Qualcosa a cui mi sono reso conto di non aver, fino ad ora, dato il peso che meritava. E, in particolare, mi riferisco al modo in cui apprendo, conservo ed utilizzo le informazioni.
Il flusso di informazioni
Diciamoci la verità: negli ultimi 20 o 30 anni, il flusso di informazioni al quale veniamo sottoposti ogni giorno è aumentato in maniera folle.
Una volta, a seconda dei nostri interessi, per ottenere informazioni dovevamo cercare in un’enciclopedia, comprare un libro o una rivista, andare in biblioteca, accendere la radio o la TV.
Oggi, invece, è chiaro a chiunque che abbiamo accesso a tutte le informazioni che vogliamo in ogni momento della giornata. La tecnologia che ce le rende disponibili è progredita a vista d’occhio e noi, chiaramente, ne abbiamo approfittato: saremmo stati pazzi a fare altrimenti.
Il problema in tutto questo, però, è che il nostro cervello non ha avuto il tempo di adattarsi a questa abbondanza informativa, e il risultato di ciò è che spesso si sente sommerso, stressato oltremodo e fatica a mantenere e sfruttare così tanti dati nel migliore dei modi.
Ti lascio un link in descrizione, ma non serve andare a scomodare neuroscienze o ricerche scientifiche per capire quanto sia vera questa affermazione.
Quante volte ti è capitato di sentire o leggere una qualche informazione, pensare quanto sia interessante, e poi semplicemente perderla dalla mente?
Quanti pensieri hai formulato mentre eri sotto la doccia, in auto, in attesa dal dentista per poi scoprire dopo qualche ora che ogni ricordo in merito era completamente sparito?
Quante volte ti è stato necessario ricostruire delle conoscenze che avevi già utilizzato in passato o delle quali avevi già appreso degli aspetti ma che hai dovuto ricercare e rivedere da capo?
A me è capitato spesso. Molto spesso.
E non parlo solo di informazioni pubblicamente reperibili online, ma anche di cose private o di lavoro: una ricetta appuntata su un foglio di carta, un documento fiscale o medico in archivio, una procedura sepolta tra mille pagine di un manuale, gli appunti della riunione di inizio mese.
Le informazioni arrivano da Internet, dal mondo reale, o dalla nostra stessa mente, perché no, se si tratta di sensazioni, idee, pensieri. E tutte passano inevitabilmente dal nostro cervello, al quale noi affibbiamo l’arduo compito di memorizzarle e restituircele al momento del bisogno.
Beh, per me questa cosa non funziona. Anzi, credo che siano veramente in pochi quelli che possono permettersi questo lusso.
E infatti tutti abbiamo i nostri metodi per porvi rimedio, no?
Ad alcuni magari semplicemente la cosa non interessa e si lasciano scivolare tutto addosso. Altri invece utilizzano quaderni, block-notes o i post-it. Altri ancora avranno un software o dei raccoglitori cartacei.
Io avevo un mio metodo, fatto di un misto di quaderni, software per appunti e hard disk. Ma a quanto pare non funzionava troppo bene.
E poi, FINALMENTE, ho scoperto la pratica del Second brain.
Un secondo cervello
Qualche settimana fa mi è capitato per le mani questo libro intitolato Il tuo secondo cervello di Tiago Forte.
L’ho acquistato più che altro per curiosità: avevo sentito parlare di questa tecnica nel podcast Gitbar (e a proposito, se ancora non segui il podcast di riferimento per la community di sviluppatori italiani, beh ti lascio il link in descrizione perché devi assolutamente recuperarlo. Mi raccomando).
Comunque, come dicevo: in realtà l’ho acquistato senza troppe aspettative perché avevo la presunzione, se non proprio di sapere già tutto sull’argomento, di essere almeno a buon punto.
Ma devo dire che ho scoperto che mi sbagliavo.
Questa lettura mi ha aperto una serie di orizzonti come non avrei mai immaginato.
Avevo già un’idea di cosa fosse il concetto di gestione della conoscenza personale, ma non credevo che si potessero ottimizzare a tal punto i metodi relativi alla gestione di tutta questa mole di informazioni.
Capiamoci: avevo già costruito una mia knowledge base personale fatta di file, archivi, appunti. Raccoglievo osservazioni sugli articoli che trovavo interessanti, mi appuntavo procedure utili e conservavo manuali che mi erano serviti in certi casi specifici.
Ma quello che non avevo mai acquisito era una vera e propria filosofia della gestione della mia conoscenza.
Quando descrive lo scopo del Secondo Cervello, Forte non parla semplicemente di archiviare e organizzare le informazioni, ma usa frasi come aprire una banca della conoscenza e mettere a rendita i vostri pensieri.
Ciò che ho appreso da questo libro, infatti, non è solo come organizzare appunti e documenti, ma un metodo per liberare la mente dai compiti nei quali è meno efficiente per utilizzarla al massimo in quello che invece sa fare bene.
Esattamente come i concetti alla base della pianificazione che mirano a risparmiarci di dover tenere a mente tutte le cose da fare e quando farle.
Il cervello umano è fatto per effettuare ragionamenti, per creare collegamenti e scoprire e capire cose nuove; non per mantenere archiviate informazioni che potrebbero o non potrebbero poi servirci nella vita.
E allora, per usare termini informatici, perché non scaricare le informazioni su supporti fatti a posta per la memorizzazione e lasciare libere le nostre risorse mentali per impiegarle in attività che sono più in linea con le potenzialità del nostro processore?
Pensiero divergente e convergente
Per capire meglio questa dicotomia di funzionamento del cervello, dobbiamo, però, accennare ad un concetto che è ben elaborato nel libro: e cioè la distinzione tra pensiero divergente e pensiero convergente.
Ora, ti riassumerò molto in breve quanto mi è rimasto impresso, ma chiaramente ti consiglio assolutamente di leggere questo libro e trarne le tue osservazioni di prima mano.
Il concetto di base è che, quando lavora sulle informazioni, il cervello opera essenzialmente in due modalità: appunto quella divergente e quella convergente.
Il pensiero divergente è attivo durante le fasi esplorative: infatti il cervello è in questa modalità quando incameriamo informazioni, leggiamo, ascoltiamo podcast, guardiamo video.
Siamo in fase divergente anche quando fantastichiamo, seguiamo link a partire dal contenuti di cui stiamo già fruendo, o ancora quando vaghiamo sui motori di ricerca accumulando dati dai risultati.
Al contrario, invece, il pensiero convergente è quello più analitico e costruttivo. Quello nel quale valutiamo i risultati della nostra caccia alle informazioni e decidiamo cosa veramente ci può tornare utile e cosa possiamo fare con il bottino accumulato.
In questa modalità il cervello praticamente screma i dati in eccesso per giungere al nocciolo di cosa è davvero essenziale per noi e, con i risultati di questa operazione, tende a produrre altri pensieri e ragionamenti.
In pratica, potremmo dire che il pensiero divergente accumula mentre quello convergente fa pulizia e mette in ordine.
E come potrai ben immaginare, è molto difficile compiere entrambe queste operazioni contemporaneamente.
Le due modalità di pensiero sono tendenzialmente in contrasto fra loro. Ciò non vuol dire che sia impossibile conciliarle, ma probabilmente per la maggior parte di noi, questo tentativo richiede uno sforzo che non vale la pena di essere compiuto.
Semplicemente, è più facile divagare quando è il momento di divagare e invece organizzare quando è il momento di organizzare, rispetto a svolgere entrambe le attività contemporaneamente.
La filosofia del Second brain
Il metodo Second brain, quindi, si basa proprio sul tentativo di assecondare questo semplice concetto di dicotomia di pensiero e nel farlo, va ben oltre il fatto di essere un mero metodo di archiviazione.
Superficialmente, potrebbe infatti sembrare che si parli semplicemente di un modo di prendere appunti, ma in realtà Second brain è una vera a propria filosofia di produzione del sapere.
Non parliamo solo di installare un software per raccogliere annotazioni e di riorganizzare la cartella Documenti.
Applicare questo metodo alla propria quotidianità, significa adottare un vero e proprio processo che aiuta a catturare, organizzare, distillare e poi rielaborare le informazioni alle quali già siamo normalmente esposti ogni giorno.
L’idea è quella di sviluppare delle abitudini di comportamento che si integrino al meglio nella nostra vita senza aggiungere alcun costo in termini di impegno.
Quindi approfittare delle letture che già stiamo facendo, dei video e dei podcast che già ascoltiamo abitualmente, di tutte le fonti di informazione che già siamo soliti consultare, ma con uno spirito un po’ diverso e con un metodo ben definito che ora proverò a descrivere.
Bada bene: siccome parliamo di una qualcosa che è in realtà più complesso di quel che può apparire, non è certo mia intenzione esaurire in pochi minuti l’intero argomento, però voglio provare almeno a darti una panoramica di quanto ho estratto da questo libro.
Poi starà a te approfondire direttamente dalle parole dell’autore, se l’argomento risulterà di tuo interesse.
Il metodo Second brain
Tutto inizia dal cercare di porre il focus su ciò che colpisce la nostra attenzione. Quello che solletica la nostra immaginazione, che fa scattare in noi una riflessione o persino che ci fa incazzare.
Forte utilizza questo trigger per individuare le informazioni che meritano di essere catturate.
Personalmente trovo questa regola molto intelligente perché ritengo che sia una sorta di estensione del normale funzionamento del nostro cervello.
D’altronde non è pensabile archiviare ogni informazione con la quale si viene in contatto ed in effetti, quello che solitamente ci resta impresso naturalmente è anche ciò che in qualche modo ci ha colpiti.
E quando memorizziamo qualcosa, il nostro obiettivo non è quello di costruire un’enciclopedia, ma è cercare di avere a portata di mano le informazioni che ci possono poi tornare utili nella vita quotidiana.
Quindi perché non estendere questo meccanismo e demandare questo compito ad un supporto digitale che ci garantisca una maggiore affidabilità e al tempo stesso ci permetta di liberare risorse mentali da utilizzare in altro modo?
Non scendiamo nei dettagli tecnici, ma mi sembra ovvio che i nostri computer e i nostri smartphone equipaggiati con un buon software per appunti ed una connessione ad Internet per sincronizzarsi, possano svolgere perfettamente il compito di conservare per noi le informazioni.
Tecnologicamente questa cosa può avere molto senso, ma dobbiamo anche tenere presente che nessuna tecnologia attuale funziona esattamente come il nostro cervello.
Quindi, dopo aver delegato a questi strumenti parte dei compiti della nostra memoria, dobbiamo subito affrontere un secondo problema e cioè come organizzare e recuperare tale conoscenza.
Il metodo Second brain ha già una sua semplicissima regola in merito: ordinare le informazioni in base all’uso che si intende farne.
Quello che serve oggi, va messo più a portata di mano. Quello che serve una volta al mese, sarà un po’ meno in evidenza, e ciò che forse potrebbe servire un giorno finirà in un archivio in cui cercare se e quando ce ne sarà bisogno.
Quella che ti ho riassunto molto brevemente è un tipo di organizzazione che Forte chiama con l’acronimo di PARA che sta per Progetti, Aree, Risorse e Archivio.
Non sto qui ad approfondire, trovi sempre tutto nel libro, ma in pratica si tratta di avere sottomano le informazioni che al momento si utilizza con maggiore frequenza e nascondere tutte le altre.
Per fare ciò, sarà necessario riorganizzare frequentemente questa suddivisione sulla base delle necessità attuali ma d’altronde la tecnologia ci permette anche questo: effettuare ricerche in testi, documenti e perfino immagini o video e spostare tutti i file o le annotazioni in modo semplice e veloce.
Quindi, ancora una volta, perché non sfruttare queste funzionalità e risparmiare le nostre di energie?
Parlando sempre di ottimizzazione, il metodo Second brain, poi, prescrive anche un interessante concetto di distillazione degli appunti.
A mano a mano che le nostre annotazioni crescono, infatti, quando mettiamo mano ad un appunto dovrebbe essere possibile capire in pochi secondi se questo può esserci utile oppure no in quel momento.
Non possiamo collezionare pagine e pagine di informazioni e rileggerle tutte ogni volta che abbiamo il sospetto che ci possano servire.
Quindi, sempre come suggerito da Forte, a poco a poco, volta dopo volta che consulteremo un nostro appunto, metteremo sempre più in evidenza parti del testo; cosa che poi ci permetterà quasi a colpo d’occhio, di capirne il contenuto.
Si tratta questa di una strategia per distillare il contenuto, rileggere rapidamente le parti salienti e soprattutto capire velocemente se ciò su cui ci troviamo ci interessa effettivamente in questo momento oppure no.
Per i dettagli ti rimando sempre al libro o magari ad un altro episodio, fammi sapere se la cosa ti interessa.
So che tutto ciò che ti ho descritto potrebbe sembrare un sacco di lavoro ma non è assolutamente così.
Se c’è una caratteristica del Second brain che mi ha colpito è proprio il pochissimo carico che aggiunge alle attività che normalmente già svolgo ogni giorno.
Tutto il sistema è infatti pensato per adattarsi alle abitudini di chi lo utilizza, essere portato avanti con poco sforzo e soprattutto per dare benefici sempre maggiori con il passare del tempo.
Sì perché, diciamocela tutta, cosa raccogliamo a fare tante informazioni ogni giorno se poi non ne tiriamo fuori qualcosa di buono?
Perché ci informiamo, studiamo, ascoltiamo podcast, leggiamo libri e articoli, se poi non vogliamo mettere in qualche modo a frutto la conoscenza derivante da questo lavoro?
Beh, la conseguenza di questo accumulo di sapere è a sua volta produzione di conoscenza. Che ce ne rendiamo conto o no, le informazioni vengono incamerate, rielaborate e poi condivise con gli altri.
Forse ora starai pensando alla creazione di contenuti, ma non farti ingannare: non è certo questo l’unico obiettivo, anzi in percentuale sono ben poche le persone che mirano a ciò.
La verità è che noi tutti produciamo sempre informazioni, ogni giorno.
Sul lavoro, quando creiamo documenti, presentazioni, manuali, anche semplicemente quando spieghiamo una procedura ad un collega.
Con amici e parenti, quando diamo consigli, quando parliamo di come abbiamo risolto questo o quel problema.
È una sorta di processo continuo e in questo il metodo Second brain può aiutarci: a semplificarlo, a renderlo più piacevole, migliore.
Riversando gran parte dei compiti mnemonici sul nostro Secondo cervello, infatti, al primo, quello biologico, resteranno molte più energie per fare quello che sa fare meglio: cioè individuare soluzioni, collegamenti, formulare idee e metterle in pratica nella vita quotidiana.
Le mie impressioni
Personalmente, ho adottato questo metodo da qualche settimana e mi sto abituando a poco a poco a farlo rientrare nella mia routine.
È questo, secondo me, il primo grande vantaggio: non si tratta di un paradigma rigido e pesante. Non impone cambiamenti improvvisi, ma permette un adozione graduale, che rende tutto il processo piuttosto gradevole e naturale.
In secondo luogo, mi sono reso conto che piano piano il mio modo di ragionare sta cambiando: quando applico il metodo pongo anche più attenzione all’attimo presente.
Valuto più attentamente l’attività che sto compiendo ed analizzo diversamente i dati che scaturiscono da essa. Non importa quale sia l’ambito: lavorativo, personale, ricreativo o altro.
Mi accorgo che ragiono più a lungo sulle cose. Non ore, ovviamente. Non parlo di viaggi mentali, ma semplicemente di qualche istante in più.
Il tempo di pensare: questa cosa mi interessa effettivamente? Mi potrebbe mai servire? Dovrei ricordarmela?
E infine sento letteralmente di avere un posto sicuro dove mettere le informazioni. Una sorta di schedario privato in cui so che: da una parte, posso stare sicuro che i dati grezzi non andranno persi e saranno poi raffinati in caso di necessità; e dall’altra non avrò rimpianti se non mi serviranno mai, perché avrò speso una quantità minima di tempo per archiviarli.
Tutto questo mi trasmette un senso di serenità. Ho sentito letteralmente diminuire il mio livello di stress in queste ultime settimane.
Nei prossimi tempi, secondo quanto sostiene Tiago Forte, dovrei iniziare a notare collegamenti emergere in modo organico dall’insieme dei miei appunti. Dovrei iniziare a migliorare a tal punto alcuni di questi documenti da poterli condividere anche con gli altri come una sorta di unità di conoscenza.
Per ora, onestamente, non mi sembra di aver notato nulla di ciò, ma sono solo all’inizio e, se anche non dovesse essere così, questo metodo mi sta già dando talmente tante soddisfazioni che credo proprio che diverrà parte integrante della mia quotidianità.
Conclusione
Bene, spero che questo particolare episodio su questa mia nuova scoperta ti sia piaciuto.
Ovviamente se ti incuriosisce il concetto di Second brain, il punto giusto da cui partire è il libro di Tiago Forte. Per acquistarlo, trovi in descrizione il link affiliato, così contribuirai anche a sostenere Pensieri in codice.
Se invece già conoscevi il metodo, già lo utilizzi o hai intenzione di iniziare, valuta di unirti al gruppo telegram di Pensieri in codice perché sarei contento di confrontarmi con qualcuno, dato che io stesso sono alle prime armi.
Detto questo, anche oggi un grazie speciale va ad Edoardo e a Carlo che, con le loro donazioni ricorrenti, sono ormai sostenitori fissi del podcast.
Ti ricordo che sul sito pensieriincodice.it trovi tutti i link utili: gruppo telegram, donazioni, affiliazioni, ecc. ma, se preferisci sostenere senza spendere soldi, puoi far ascoltare questo episodio qualcun altro, un amico, un conoscente. Condividerlo in qualche gruppo è un ottimo modo per dare una mano!
E dunque direi che non c’è altro, quindi come al solito ti ringrazio, ti saluto e ti do appuntamento al prossimo episodio.
E non dimenticare mai che un informatico risolve problemi, a volte anche usando il computer.
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